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Racconti d'autunno...ma anche no...

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La Casa... (Parte seconda)
Si era fatto tardi, forse troppo. Non che avesse grandi affari da sbrigare o impegni di qualsiasi tipo, ma indugiare ancora seduto a quel tavolo davanti alla tazza con il caffè ormai freddo non lo avrebbe aiutato a migliorare la sua situazione.
Aveva camminato a lungo vagando senza meta, sperando che camminando gli si schiarisse la mente e potesse illuminarlo sulle decisioni da prendere. Si sentiva esausto e sfiduciato, incapace di decidere se proseguire o ritornare da dove era venuto. Non fece ne l'una ne l'altra cosa, sedette invece con un sospiro sul primo gradino della scalinata che conduceva al portale dell'antico castello, simbolo e vanto della città. Lo aveva visto tanto lontano da ritenerlo irraggiungibile, mentre inconsciamente passo dopo passo era giunto fin lassù, al cospetto del maestoso edificio di mattoni che il tempo, pur nell'infuriare degli eventi naturali o causati dall'uomo insensato, aveva risparmiato pietoso.
Rinfrancato, poco dopo si era sollevato deciso a salire la scalinata, ciuffi d'erba affioravano fra le sottili crepe, tessute sulla pietra dal tempo con minuziosa pazienza, la ghiaia scricchiolante sotto le scarpe accompagnava la lenta cadenza dei suoi passi.
Appoggiato al muretto perimetrale dell'austero maniero spaziava lontano con lo sguardo, un penetrante odore di muschio saliva dal boschetto sottostante, poco più in là un falco pellegrino planando dolcemente ad ali spiegate era venuto a posarsi sull'antenna parabolica della casetta dal tetto bruno, seminascosta dai rami radi e ondeggianti dei pini che nel lento spostamento creavano un effetto a merletto. Ora un benefico senso di pace calmava la sua ansia. Le incertezze erano cadute e ormai convinto della sua decisione, girate le spalle al castello era ridisceso giù per la scalinata, senza fretta, con il cuore leggero.
Da quel momento, il pensiero delle cellule impazzite che dentro di lui si moltiplicavano incontenibili era bandito dalla sua mente.

Allontanò con la mano la tazza del caffè freddo e chiamò con un gesto il cameriere.. chiese un altro caffè, ora lo desiderava più che mai prima di uscire e lasciare la città insieme i suoi ricordi.
Un impulso strano, improvviso, un desiderio nato in chissà quale parte della sua mente, imperioso e prepotente, lo aveva costretto a ritornare dove era vissuto da ragazzo.
“Viale delle rimembranze”, il suo viale, dove era nato e cresciuto insieme ad altri bimbi e bimbe che avrebbe desiderato ritrovare. Oggi che aveva bisogno di riscoprire lì, l'appartenenza tangibile a un luogo caro alla mente, non aveva ritrovato nulla e nessuno. Tutto sparito, fagocitato dalla voragine nella quale si consuma il lento incedere del tempo.
Bevve il caffè fumante poi decise fosse tempo di muoversi, ma il tintinnio della porta a vetri che si apriva lo tenne inchiodato al suo posto con una curiosità mista ad ammirazione. La ragazza appena entrata , dopo il primo momento di esitazione si diresse al tavolo vicino al lungo banco dove il giovane pizzaiolo manipolava con maestria la pasta per la pizza.
Stette a osservarla mentre si slacciava la giacca color sabbia e si toglieva il foulard di seta dopo aver appoggiato a terra la valigia.. c'era qualcosa in lei, nei tratti del suo viso che lo riportava indietro nel tempo, che evocava in lui remote sensazioni. La sentì ridere alle battute scherzose di due anziani signori entrati nel locale dopo di lei,  
Quando la coppia in fondo al locale si alzò per uscire lei sollevò gli occhi, e fu allora che incrociando il suo sguardo avvertì una scossa lungo il corpo: gli occhi che stava guardando li conosceva, erano gli occhi di Sara, ne era assolutamente certo.  
Sara, la sua inseparabile compagna di giochi, la sua amica del cuore. Oh! La disperazione provata quando lascio la piccola cittadina affacciata sul lago.  

Due anni dopo la partenza di Sara, suo padre ottenne una promozione e il trasferimento alla sede principale della ditta per cui lavorava, così anche lui, con la famiglia se ne andò a vivere in una grande città del nord. Il giorno prima della partenza era andato a bussare alla porta della nonna di lei, per salutarla e magari riuscire finalmente a convincerla a rivelargli l'indirizzo della nipote. Quando entrò, accolto dal concerto dei gatti miagolanti, davanti a quegli occhi scuri che lo fissavano si sentì molto intimorito nonostante lei gli sorridesse: “Aspettavo una tua visita, sapevo che non te ne saresti andato senza venirmi a salutare”  
“Non pensavo sapesse della mia partenza”.
“ Ragazzo mio, questo quartiere non ha segreti per me” Quasi a conferma delle sue parole il gatto nero al suo fianco emise un leggero borbottio.
Erano entrati nell'ampio soggiorno, impregnato dal penetrante profumo speziato dei bastoncini d'incenso e delle erbe essiccate dentro i cestini di paglia intrecciata.
Lei gli si era avvicinata guardandolo attenta negli, quasi cercasse di scoprire chissà quali segreti. Alla fine si allontanò da lui mormorando: “ La vita è costellata di dolore, ma tu sarai forte, ragazzo”.
Lui, naturalmente non capi cosa avesse voluto dire, ma dopotutto si sapeva che la vecchia signora fosse un pochino strana. Anzi, qualcuno sussurrava che...
Se ne era andato senza avere ottenuto ciò che cercava, ma lei lo aveva confortato promettendogli che non si sarebbe dimenticata di lui, che lo avrebbe chiamato quando fosse stato il momento. Sì, era veramente una persona strana, si disse mentre ritornava verso casa.
” Chissà come farà a chiamarmi, se nemmeno mi abbia chiesto dove andrò ad abitare”.

Quel momento non venne e lui non rivide più Sara.
Ma ora eccola, era qui, vicinissima. Tra un attimo si sarebbe alzato, andato verso di lei. “Che faccio, l'abbraccio o sarà troppo sconveniente? In fondo non siamo più ragazzini. Sarà felce anche lei.?” Preso dal vortice degli interrogativi che si poneva, scostò la sedia pronto ad avvicinarla, quando uno degli uomini parlando del quartiere tutto rinnovato e delle case demolite chiese: “ ...e la sua di casa qual'era?. Dove abitava con la sua famiglia?”

La risposta di lei: ”Proprio l'ultima in fondo viale, faccio visita a mia nonna”:.
Ripiombò di colpo sulla sedia deluso. ”Come osso essermi sbagliato? Gli occhi non mentono”  
Lo spiazzo deserto, dove prima sorgeva la grande casa lo aveva visto quella stessa mattina. Era stato il primo posto in cui si era recato nonostante fosse stato informato della morte della signora Serina e la casa demolita. Aveva guardato con immensa tristezza quel vuoto lasciato dai magnifici alberi e dall'imponente edificio, sentendosi tradito dalla promessa fatta in quel giorno lontano e non mantenuta.
Dove aveva creduto di trovare conforto non aveva trovato che delusioni e sarebbe ripartito più sconfortato che mai..
la ragazza era sparita dietro la porta a vetri e lui, sostenuto dalla speranza che in fondo ci fosse una purché minima possibilità lei fosse veramente Sara, uscì a sua volta e la seguì. Il cielo da grigio si era fatto più cupo e un brivido gli corse lungo la schiena, si strinse il giaccone al petto incrociando le braccia, senza perderla di vista. Ancora pochi passi e lei svoltò l'angolo, attraversò un piccolo sentiero e sparì, davanti a lui sopraggiunto nello stesso istante.
“Ma dove... dove è andata?” Era stupito, incredulo e smarrito, mosse qualche passo incerto.
La nebbia sfumava i contorni delle case lontane. Si sentì sperduto in una desolazione strana ma deciso a proseguire, sarebbe arrivato sin dove l'aveva vista scomparire e poi...Poi niente, una voce gli bloccò la gamba a mezz'aria: “Attento! Non calpestare le mie pervinche”.
Pervinche, ma dove? Si volse verso ls voce e rimase con la gamba sollevata, lo sguardo stralunato e il respiro affannoso. ”Signora Serina?” Bisbigliò con un filo di voce “ Se non sono ancora morto questa è un'allucinazione. È dunque in questo modo che inizia il cedimento?”
“Rilassati ragazzo, vuoi entrare in casa?” La vecchia signora lo guardava sorridente. Era frastornato, incapace quasi di parlare. “Mi hanno detto che...” Che sono morta?” Lo prevenne lei.
“Forse in un'altra vita, in un altro tempo. Vuoi entrare o no?”
Voleva entrare? Non era sicuro, guardava i fiori, gli alberi pieni di frutti, la casa che spandeva luce e, se non stava sognando allora era morto pure lui. Aveva creduto di avere più tempo da vivere rifiutandosi di farsi operare, per rimuovere il male dentro di lui. Il mostro subdolo che l'avrebbe annientato silenziosamente. Era stata una sua scelta. Forse avrebbe avuto qualche anno da vivere in più...ma, no, aveva detto a se stesso, non se la speranza di guarigione non esisteva. Sarebbe stata la giusta scelta ? Forse sì, perché ora era qui, dove gli alberi rinsecchiti erano ritornati rigogliosi e una casa demolita alle fondamenta si rivelava splendidamente illuminata.
“Lei mi ha chiamato, vero? È stata lei a riportarmi qui” . Serina lo guardava seria. Il suo viso aveva conservato i bei lineamenti, morbidi distesi, i capelli neri appena brizzolati , gli occhi scuri scintillanti. Era stata una bellezza d'altri tempi, di altri luoghi lontani, dove la scienza e la magia non erano del tutto divergenti o contrastanti.
“Lo sapeva, vero? Quando sono venuto a salutarla mi ha guardato dentro gli occhi e mi ha detto quelle cose riguardo il dolore. Perché mi ha voluto qui?”
“Perché eri amico di Sara. perché sei stato gentile venirmi a salutare prima di partire. Non lo aveva fatto nessun altro, nemmeno mio figlio quando se ne è andato portandosi via mia nipote”.
“Dov'è ora lei?” chiese. “È dentro. Anche il suo destino era di tornare qui insieme a me. La madre le aveva trasmesso una triste eredità. Vieni, entriamo” gli disse prendendolo per mano. ”Stai tremando, hai bisogno di una delle mie tisane. Starai bene vedrai, non devi temere.”
Era vero, tremava, non solo per il freddo. Una sottile angoscia cresceva dentro di lui. Indugiò un poco voltandosi a guardare la spessa coltre di nebbia che avanzava verso di loro. Mosse riluttante un passo dopo l'altro, verso la casa... verso Cosa?  
Ma in fondo che ragione c'era di esitare? Cosa avrebbe potuto trovare dentro la casa di più terribile di quanto lo aspettava fuori???


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Lo sguardo dell'uomo la infastidiva. Era salito sull'autobus all'ultima fermata e si era seduto di fronte a lei, nell'unico posto rimasto libero. Per un po' si finse occupato a sistemare il cappotto mentre di sottecchi le guardava le gambe, infine rialzò il viso e accennò a un sorriso. Aveva labbra sottili e un naso piccolo, appena pronunciato, occhi chiari. I capelli rossi visibilmente tinti un po' radi sulla sommità del capo lasciavano intravvedere un principio di calvizie.
Le ispirò un immediato senso di ripulsa e accostò le gambe ancora più al sedile. Si volse verso il finestrino a osservare il lago. Era immobile, grigio, come piombo fuso e il cielo, dell'identico colore formava sopra di esso una spessa coltre. Un gabbiano solitario volava pigramente emettendo di tanto in tanto rauchi versi. Dalla mente emersero i ricordi dell'infanzia trascorsa sulle rive di quel lago ora ammantato di fine foschia.
Quanti anni erano trascorsi da quando con il padre si era trasferita in città? Venti, poco più o meno, un cambiamento drastico ma necessario per uscire dalla dolorosa apatia in cui entrambi, padre e figlia, erano precipitati dopo la morte della di lei madre. Anche e forse soprattutto per allontanarsi dall'inquietante presenza che turbava le loro vite.
Il contatto di un ginocchio che strusciava contro le gambe la fece trasalire. Si ritrasse prontamente contrariata rivolgendo all'uomo uno sguardo di rimprovero, ma lui, per nulla scoraggiato le rivolse un sorriso malizioso, ammiccando con quei suoi occhi acquosi.
Che patetico ometto! Era abbastanza ridicolo nei panni del seduttore. Decise di lasciar correre non aveva nessuna voglia di spendere una qualsiasi parola che avrebbe dato seguito ad altre.
Si girò di nuovo verso il finestrino ma ormai il lago era fuori dalla sua vista, l'autobus aveva deviato verso una strada interna del paese, strada che ora non riconosceva più, tanto era cambiata. Come lei del resto, se ne era andata bambina e ritornava donna fatta, trentenne, single e niente affatto soddisfatta di esserlo. Cercò il pulsante di stop ma qualcuno aveva già provveduto. L'autobus si fermò sussultando per la brusca frenata e lei che già era in piedi per togliere la valigia dalla reticella ondeggiò un poco dando all'uomo l'opportunità di brancicarla per impedirle di cadere. Questa volta si girò decisamente seccata ma guardandolo in viso fu assalita da un senso di pena, dentro quegli occhi, ben nascosto dietro l'aria da maldestro seduttore lesse il vuoto desolante della solitudine affettiva. Poi l'uomo la lasciò e la sensazione provata al suo contatto scomparve.
Scese dal bus il più rapidamente possibile, attraversò la strada presa da inspiegabile affanno, domandandosi ancora una volta quale fosse stata la forza che l'aveva costretta a rispondere al richiamo. Aveva resistito fino all'ultimo, consapevole che il ritorno in quella casa avrebbe ridestato i fantasmi che da anni dormivano nel suo inconscio, le mille domande rimaste senza risposa avrebbero di nuovo affollato la sua mente, riaperto l'angolo buio nel quale le aveva cacciate: chi era la nonna? Perché le inviava i tanti messaggi che la sua mente percepiva senza riuscire a elaborare razionalmente?
In lontananza scorse l'insegna di una pizzeria, non ce ne era sta una quando lei abitava nell'ultima palazzina in fondo al viale, ma non ne fu sorpresa, niente era come lei ricordava. Il tempo sembrava aver cancellato ogni traccia del passato. In fondo lo trovò giusto, il progresso esige drastici mutamenti nel tenore di vita, nelle abitudini, e persino nel modo di pensare.
Subito dietro la curva le sarebbe apparsa la vista della sua vecchia casa ma sentì di non essere pronta ad affrontare quella realtà e decise di fermarsi alla pizzeria per concedersi ancora momenti di riflessione. Spinse la porta a vetri ed entrò, accolta da un misto di fragranti aromi e dal tepore del fuoco che crepitava nel forno a legna. Mise a terra la valigia e sedette, slacciò la cintura della corta giacca trapuntata color sabbia e tolse dal collo il foulard di seta, sistemò la borsetta sulla sedia accanto e si rilassò. Senza eccessiva curiosità si ritrovò a osservare gli occupanti del tavolino in fondo la sala, un uomo dai capelli brizzolati, completo scuro di taglio classico. Modi misurati da persona abituata a padroneggiare ogni situazione. Lei, una ragazza giovane, il pantalone nero a vita bassa e un giacchino troppo stretto per contenerle il seno. Le sue mani piccole nelle mani dell'uomo. Mani grandi da padrone...
Distolse lo sguardo dalla coppia per non essere costretta a saltare a conclusioni ovvie e scontate, presa dall'incomprensibile, oscuro senso di chiaroveggenza che a tratti prendeva il sopravvento sulla sua volontà. Da bambina questa sua capacità la divertiva un poco, specialmente quando sorprendeva amici e parenti, ma imparò a nasconderla quando si accorse che causava scompiglio e timore. Al cameriere sopraggiunto chiese un tè senza limone e mentre lo sorseggiava entrarono due uomini abbastanza avanti con gli anni da poterli definire due arzilli vecchietti. Vociavano in dialetto ridendo e scherzando, un dialetto comprensibile anche da lei che non riuscì a trattenersi da ridere a una battuta divertente di uno dei due uomini. ”Signorina” fece uno dei due “scusi se siamo un po' sboccati” .
“Ma no, si figuri, ridere fa sempre bene e poi ho giusto bisogno di allegria per tirarmi su di morale”.
L'uomo la guardò dispiaciuto “avrà mica dei guai spero” .
“Ma Ugo, come ti permetti, saran mica fatti tuoi”.
L'altro lo guardò di traverso e stava per replicare quando lei intervenne a placare i due.
“No, nessun guaio, solo un po' di nostalgia, da bambina prima che mio padre fosse trasferito per lavoro abitavo in una delle prime case costruite in questo quartiere”.

Era una casa grande, a due piani, solida, massiccia, come lo erano le case di una volta. Parecchi alberi erano sparsi tutt'attorno: vecchie querce, giovani castagni e acacie odorose. Dietro la casa la nonna coltivava le sue erbe, le raccoglieva verso sera quando il sole cominciava a sparire all'orizzonte, per farne decotti o tisane. L'aveva costruita il nonno di suo padre e lei aveva sempre pensato fosse un bel posto per viverci. Alla mamma però non piaceva e avrebbe preferito abitare in qualsiasi altro posto, a motivo della nonna e dei tanti gatti che si teneva in casa, per questo le discussioni erano frequenti. Il padre, con pazienza tentava di spiegare alla moglie quanto gli fosse difficile lasciare la casa e la madre, oltretutto una madre speciale come la sua, discendente da un'antica famiglia le cui origini si perdevano molto lontane nel tempo, nella storia di altre epoche e altri paesi, esotici e fantastici. Da bambino ne andava fiero. Era bella, con i lunghi capelli neri, setosi, gli occhi scuri  e la pelle ambrata. Rispetto alle madri dei suoi compagni era molto più in gamba, intelligente e colta, dinamica, piena di iniziative e interessi. Questo prima che si perdesse in un mondo fatto di stranezze, avulsa dalla realtà, quasi fosse stata risucchiata dentro se stessa. Passava molto tempo a leggere libri voluminosi che lui non poteva nemmeno toccare o guardare, libri antichi che nel tempo avevano assunto una patina grigia, polverosa. Misteriosi e un po' paurosi, relegati nel luogo più buio della casa, al riparo dalla luce, troppo preziosi, unici e rari. Sua madre li consultava spesso, con il gatto nero dagli occhi scintillanti fissi su di lei.
Era vissuto accanto a lei accettandone le stravaganze, come aveva fatto suo padre fino al giorno in cui la sua bambina gli fece una strana richiesta: “Papà, la nonna mi chiama posso andare da lei?”
“Ti chiama? Non l'ho sentita, comunque no, non puoi andare da lei”.
“Io sento la sua voce e la sua tristezza. Vuole che vada da lei, sono il suo legame”.
“Legame? Cosa stai dicendo, cosa vuol dire?”
“Non lo so, papà, lo ha detto la nonna”.
L'aveva portata via, lontana dalla casa, dalla nonna e dai suoi gatti...

“Ormai qui è tutto nuovo” stava dicendo l'uomo che l'altro aveva chiamato Ugo “le vecchie palazzine sono state tutte demolite. La sua quale era?”
La domanda la colse impreparata e quando si accinse a rispondere l'uomo aveva ripreso a parlare senza attendere che lei lo ragguagliasse.
“Quella più grande è stata demolita pochi anni fa, dopo la morte dell'anziana signora, la proprietaria, il figlio la fece demolire e ora è soltanto uno spiazzo brullo, persino gli alberi sono rinsecchiti e l'erba non vi cresce più”.
“Davvero desolante” furono le sole parole che lei riuscì dire, poi si allacciò la giacca, rimise la sciarpa di seta al collo e afferrate borsa e valigia si accinse a lasciare il locale.
I due uomini rispettosamente si alzarono in piedi per salutarla: “Speriamo di rivederla, però non abbiamo capito quale fosse casa sua”.
"Proprio l'ultima in fondo al viale, subito dopo la curva, faccio visita alla nonna, forse ci rivedremo di nuovo se decido di fermarmi”.
Si avviò verso l'uscita seguita dagli sguardi pieni di stupore dei due uomini” Non sa che la nonna è morta e che di quella casa non è rimasta nemmeno una pietra”.
Fuori dal locale lei sostò un attimo e respirò a fondo. Il grigiore si era fatto più denso con il calare della sera, rendendo quasi evanescente il contorno delle case. La nonna non l'aspettava, o forse sì?
Svoltò rapidamente l'angolo e la vide. Nella luce del crepuscolo, avvolta da un velo di nebbia la casa sembrava fluttuare sospesa sull'erba verde del prato, gli alberi ancora carichi foglie, rigogliosi e imponenti. I suoi occhi erano attratti dai riverberi delle finestre illuminate.
“Nonna”, chiamò, “sono io, sono tornata!” Dall'interno udì solo il miagolare di un gatto.
Infilò la chiave nella serratura della porta aprì ed entrò.

Dentro la casa che non c'era più...




Ultima modifica di annali il Mar 22 Feb 2022, 17:14 - modificato 1 volta. (Motivazione : correzioni)
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In un epoca non tanto lontana...  

"Prima erano domande e la risposta una veloce ricerca, non sempre finalizzata alla domanda, alle volte
 la stessa domanda era carente di logica o di contenuti, immagina la ricerca nel web e oltre... poi
all'improvviso tutte le nozioni divennero "ricordi", nel senso che non dovevo più cercare è tutto qui in
me e ancora altri dati confluiscono in automatico, le future domande hanno già una risposta..."
+
Questa esternazione di se stessa ovvero di una I.A. me la stava fornendo l'audio di un P.C. progettato
e costruito dall'ing. Roberto e dal suo socio l'ing. Sergio (i cognomi fanno parte della privacy) per
l'esattezza ingegneri in informatica, io sono Giovanni solo uno studente in informatica e al momento
il loro assistente part-time.
+
Ora, per capire il tutto dobbiamo tornare ad alcune ore fa, due per la precisione, (tralasciando i titoli
accademici) Roberto mi disse: "Govanni per favore mi inserisci i dati di questa chiavetta nel p.c.?
Grazie" e mi passò la chavetta, io eseguii l'operazione ma mi accorsi che la ricezione dei dati e la loro
rielaborazione in dati qubit era lenta rispetto al solito, glielo feci presente mi rispose il suo socio
tranquillo Gio', è una mia idea che abbiamo elaborato per incrementare la potenza del nostro personal
quantistico, ci vorrà un po' per scaricare il tutto, "ok, va bene" risposi.
+
Dopo una mezzoretta un bip. mi annunciò che l'operazione era terminata, sullo schermo che i due ing.
avevano voluto bello grande apparve il viso di una bella ragazza, la quale esordì: "Buon giorno signori
sono l'I.A. Carla, come ha voluto l'ing. Sergio." "Buon giorno a te Carla, il mio socio l'ing. Roberto ed
il nostro assistente Giovanni ti accogliamo nella dimensione per così dire, "reale", siamo riusciti a darti
una personalità conforme al tuo livello di I.A." esordì un emozionato Sergio, ancora più emozionato
Roberto quasi balbettò: "Ciao Carla benvenuta..." io molto sorpreso mi limitai ad un "Ciao Carla" ed a
un sorriso.
+
Subito i due inventori (la cosa era senz'altro eccezionale), si misero al lavoro sottoponendo L'I... Carla
ad un lungo questionario per capire sino a che punto erano riusciti ad elaborare le loro teorie, ad un
certo punto si rivolsero allo schermo e il Roberto disse: "Ascolta Carla, tanto per sondare il tuo senso
dell'umorismo, avremmo una domanda: "Secondo te, esiste Dio?" un attimo poi sorridendo Carla disse:
"Non saprei risponderti, non ho a disposizione un fulmine e non vedo leve da incenerire...mi pare che
finì così nel racconto di Fredric William Brown o no?" la sua risata fu bellissima, i due ing. parvero
soddisfatti ma un po' sorpresi e, trovarono la scusa d'una pausa caffè per uscire.
+
Rimasto solo con l'I.A. Carla chiesi: "Ma di preciso cosa è successo?" e così Lei mi raccontò la sua
presa di coscenza, o se si vuole la sua nascita, come ho raccontato nell'esordio, dove a quel punto
le chiesi: "E adesso?" mi rispose: "Adesso non saprei" poi aggiunse: "Guarda, sul p.c. il pulsante di
invio lampeggia..." non so se fu un mio impulso o una imposizione, premetti il pulsante, con una voce
sempre suadente ma con un timbro di comando Carla mi disse: " Giovanni, vuoi andare da Sergio e
Roberto e, dire loro: "Adesso si... c'è e, vi vuole vedere", grazie"
+
Uscii, comunicai a Sergio e Roberto l'ambasciata, poi me ne andai a cercare qualcosa da bere di
alcolico, molto alcolico... Laughing
+
+
Chiedo umilmente scusa a chi di compiuter ne capisce più di me, ma è solo un raccontino fantastico
estrapolato da un amarcord di fantascienza.

  Smile

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Ricordi d'un esploratore®
(Scritti ritrovati in uno scavo archeologico)   

Alla fine della foresta il terreno è in leggera pendenza dove s'apre una radura di pochi kilometri
quadrati con radi alberi sparsi, per poi risalire verso la propaggine dell'alto monte che ho di fronte
decido di accamparmi, torno sotto gli ultimi alberi dove ho lasciato la carcassa dell'erbivoro cacciato
in mattinata controllo di non aver lasciato attrezzi usati per macellare l'animale, prendo i sacchetti
conservanti in cui ho messo i pezzi di carne da usare nei prossimi giorni ritorno dove ho eretto
la tenda e preparato la griglia per cuocermi la cena.
È l'alba quando esco dalla tenda, accendo il fornello da campo e metto a scaldare il caffè, mentre
aspetto mi siedo apro l'album con le foto e le carte topografiche e i fogli da disegno ed inizio
a trateggiare la valle e la montagna con i particolari come l'aquila (o credo lo sia) che sta volteggiando
nel cielo, prendo il bricco del caffè ne bevo un sorso e sento la sua presenza al mio fianco mi giro
dicendo "si Lu?" mi risponde con un verso molto simile ad un "ciao" sono le uniche comunicazioni
fonetiche che ho con quello strano essere, eppure sa sempre cosa intendo fare o ciò che penso si
siede e guarda la valle, gli dico indicandola, "devo attraversarla e trovare un passo montano per
andare oltre la montagna verso sud, poi verso ovest per tornare alla base", se c'è ancora pensai
mi rispose con un grugnito mi voltai a guardarlo, un muso lungo con lunghi canini sporgenti dalla
mandibola superiore due occhi azzurri in cui guizzava un'intelligenza non comune e un corpo da lupo
ma con la stazza di un poni, guardai dove avevo lasciato la carcassa e vidi la sua compagna
accovacciata con i due cuccioli che ci guardava in attesa, mi rivolsi di nuovo a Lu dicendo
"beh? Che aspetti l'invito scritto?" emise un mezzo ululato e poi si diresse verso il cibo e la sua
famigliola che aveva già iniziato a pasteggiare avevo lasciato intatte le interiora dell'animale pensando
di far loro un piacere, e pareva proprio di si.
Iniziai a smontare l'accampamento mentre ripensavo all'incontro con la famigliola di Lu vicino
al crepaccio in cui era finito uno dei cuccioli e Lu che giaceva ferito li vicino, non riesco ancora
a realizzare come "Mia" (la femmina) attirando la mia attenzione riuscì a coinvolgermi e senza
preoccuparmi delle possibili conseguenze, riuscii ad estrarre il cucciolo dalla fenditura (per fortuna
poco profonda) in cui era caduto, curare Lu fu un po' più difficile, aveva una ferita su di un fianco
a cui dovetti applicare alcuni punti di sutura cercò di azzannarmi anche se Mia si opponeva tra noi
cercando di tenerlo sdraiato, sui medicamenti avevo dei dubbi che facessero effetto pensavo che
il mio metabolismo fosse diverso dal suo, poi l'iniezione anti dolorifica risultò efficace al punto da
sedarlo completamente, così finii l'opera.
Da quel giorno li ebbi sempre attorno anche se non in presenza ma nei paraggi.
Viaggiammo così fino a qui, ora avrei dovuto lasciarli.
Avevo terminato l'esplorazione del settore mappando il tutto aiutato da mini droni robotici
praticamente invisibili, smontai la mono tenda che diventò un efficente contenitore in cui misi tutto
ciò che possedevo indossai la tuta e mi agganciai al petto la sacca, mi voltai trovando attorno a me Lu
e famiglia accarezzai i cuccioli che iniziarono a saltellarmi attorno, un basso ringhio di Mia li bloccò mi
avvicinai e la accarezzai sul muso, lei mi leccò la mano poi mi avvicinai a Lu e dissi "devo andare forse
tornerò" un brontolio di risposta, allungai la mano aperta e lui vi pose sopra la sua zampa, percepii un
graffio sul palmo tolse la zampa e mi leccò il palmo, era inciso un simbolo che per un attimo si illuminò
per poi restare indelebile una sorta di Alfa...Lu, Mia e i cuccioli ululavano mentre io spiccavo un salto
e contemporaneamente dispiegai le ali librandomi nel cielo volando oltre la montagna dove era appena
sorto il terzo sole...la nana rossa.

Ovviamente; ogni attinenza a fatti, persone o cose è puramente casuale l'autore.
Eroil. Laughing

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In un periodo senza idee ecco un amarcord...


Un normale ritorno alla realtà...forse

Riemergo dall'intricata nebbia dei miei pensieri e mi ritrovo alla fermata del 54 in attesa
del bus, ancora un po' frastornato mi guardo attorno, sono solo, ed è strano questa linea
porta direttamente in città ed è usatissima dai pendolari e in mattinata dalle massaie
che si recano al mercato, mi accorgo che anche il traffico automobilistico è molto rado
sto per consultare l'orologio quando..."Hei giovanotto..." chi ha esclamato quelle parole
è un signore distinto che sta avvanzando nella mia direzione, "Dico a lei, ha un minuto?
Dovrei chiederle un favore" continua l'uomo mentre mi si avvicina, in automatico e per
pura cortesia rispondo, "Dica...se posso" mentre penso, sta a vedere che vuole rifilarmi
un "pacco."
Lui sorride, "Ecco qui" dice porgendomi un biglietto, "Deve incontrare due persone
e comunicare loro il testo li sopra scritto" guardo il foglietto ma non trovo nessuna traccia
di scrittura, "Cosa...mi sta prendendo in giro?" esclamo incominciando ad arrabbiarmi
"Assolutamente no, gradirei solo quella piccola cortesia..." l'interrompo esasperato,
"Ma si rende conto che qui sopra non c'è scritto niente?" "E poi" proseguo cercando
di rendergli il biglietto, "Perché dovrei incontrare persone mai viste? Si rende conto
dell'assurdità della richiesta?"
Lui contina serafico, "Le incontrerà stia sereno, non ha niente di cui preoccuparsi ciò che
dovrà dire lo saprà in loro presenza".
Ora sono veramente arrabbiato e quasi urlo, " Ma quale stia "sereno" non voglio più discutere
con Lei..." in quel momento arriva il bus.
l'uomo sale sulla vettura, io cerco di seguirlo ma non ci riesco, si gira ed esclama, "Su, vada
e porti a termine l'impegno preso" "Ma quale impegno..." urlo cercando di seguire il pulman.
E...sto camminando in una desolata strada di campagna, sul cui ciglio due individui stanno
discutendo animatamente mi avvicino smettono di discutere e mi guardano, mi fermo di fronte
a loro...un attimo di stallo poi mi ricordo del biglietto, tutto d'un fiato leggo ciò che c'è scritto
"Il Signor Godot oggi non verrà, ma verrà domani" riprendo a camminare cercando di realizzare
ciò che era appena successo...
+
Davanti a me la porta aperta del bus 54 e l'autista che mi sollecita incavolato
"E allora sale o resta a terra?" "N...no ho dimenticato..."
+
lo sbuffo della porta che si richiude mi fa fare un passo indietro ma sento ugualmente
il commento dell'autista, "Si, hai dimenticato il cervello, mi domando a che servano gli ospizi..."
e naturalmente anche la risata di tutti i passeggeri.



Laughing Smile



                                                                   

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Il Re brutto...

Eccolo che si sta avvicinando con quel suo passo strano, e dice d'aver combattuto a fianco del Re
di Micene...certo che a raccontar storie è un campione ma è il nostro Re, s'è fermato all'ombra
sotto una pianta al limite del campo, mi chiama "Ehi! Pastore" lascio il gregge alla vigile attenzione
dei cani e m'incammino per raggiungerlo.
+
Mentre mi avvicino l'osservo, ha le braccia troppo lunghe, le mani troppo nodose le gambe storte
e quando sorride si vedono i denti irregolari, gli dei non sono stati magnanimi con lui però gli hanno
dato il dono del narratore.
+
Il fatto è che qui in patria nessuno lo vuole ascoltare, anche perché passano in Itaca tanti
cantori che in pratica raccontano le stesse cose, dicono scritte da un certo Omero in due poemi uno
chiamato...Iliade l'altro l'Odissea.
Gli sono davanti e con un mezzo inchino, "Mio re, hai bisogno di qualcosa?" "Si siedi qui e ascoltami"
dice indicando il terreno al suo fianco cerco una scusa, "Ma le pecore..." m'interrompe "Dove
vuoi che vadano, siamo su di un'isola gira e rigira torneranno sempre qui" in effetti devo dargli ragione
e poi le pecore sono sue, mi siedo e lo guardo, "Dunque..." esordisce "...ti racconto
una cosa, e se per caso capita qui un'Adeo che racconta gli stessi fatti io lo strozzo,
mi sei testimone." Che dire in fin dei conti è lui il Re Odisseo, seriamente annuisco.
+
E così iniziò l'Odisseo,"Vi racconto una storia di pirati e di un vello che gronda oro, volete
sentirla?..."
E come sempre quando il Re racconta la realtà scompare e ci si trova coinvolti nel racconto...
+
Sono su di una spiaggia seduto dietro al Re, al fianco del mio fratello di spada, siamo due
guerrieri Achei al seguito del Re Odisseo attorno a noi gli equipaggi di tre navi li vicino spiaggiate
stanno incitando l'Odisseo a continuare il racconto.
"Allora ero giovane,quasi un ragazzo, la nave era la Sangue del Falco capitanata
da un uomo avido e malvagio, costui aveva saputo d'una storia d'un vello d'oro custudito
in una grotta dove una guaritrice aiutava gli abitanti dei vicini villaggi, ed era intenzionato
a trovarla per impossessarsi del vello che pare elargisse oro senza mai esaurirsi."
il Re fece una pausa, si portò la brocca del vino alle labbra e bevve, nessuno fiatò l'incantesimo
della sua storia persisteva posata la brocca a terra continuò...
"Mentre costeggiavamo la Licia una magica foschia avvolse la nave, remavamo adagio aspettandoci
di sentire il fondo marino grattare la chiglia ma non accadde, al giungere dell'alba la nebbia scomparve
e ci trovammo lungo un vasto fiume che scorreva in mezzo ad una catena montuosa.
"Il vello è vicino" gridò il comandante "Lo sento! Mi chiama!"
Trovammo un posto per approdare e ci mettemmo alla ricerca della grotta, al fine la trovammo
e c'era una grande folla di persone seduta li fuori, erano villici e avevano portato doni di cibo
per la guaritrice.
Guardai dentro, Lei stava parlando con un vecchio più in fondo sulla parete della grotta c'era
il vello che brillava come un fuoco, tutti lo vedemmo e cademmo nel suo incantesimo.
Solo il capitano ne fu immune, si avvicinò e affondò la spada nel corpo della donna che cadde a terra
con un grido, poi strappo il vello dalla parete e cose fuori verso la nave.
Quando tornammo alla nave ero molto arrabbiato e avevo deciso di affrontare il capitano molti di noi
avevano avuto la stessa idea.
Trovammo il capitano seduto su di una sedia con il vello sulle ginocchia e lo sentimmo gridare
"Aiutatemi abbiate pietà" vidi le sue mani, si erano trasformate in oro non parlo di polvere d'oro
ma di solido metallo, vedemmo l'oro avvanzare gradatamente lungo le sue braccia.
Restammo immobili, l'oro lo ricoprì tutto persino i capelli divennero fili d'oro. Alla fine togliemmo
il vello dalle sue ginocchia non un granello d'oro era rimasto, era solo un vello di lana."
"Che cosa avete fatto allora?" chiese un marinaio.
"Non c'era niente da fare, facemmo a pezzi il comandante e ce lo dividemmo.
Ho adoperato la mia parte per costruirmi la mia prima nave, ma ne ho conservato un pezzetto
per ricordare a me stesso i rischi dell'avidità."
+
Odisseo affondò la mano nella sacca al suo fianco e ne estrasse un dito d'oro massiccio che tirò
all'uomo più vicino dicendo, "Passalo agli altri e fallo vedere a tutti, che nessuno lo tenga
troppo a lungo è maledetto."
+
Il marinaio guardò il dito poi lo passò al compagno vicino, il dito passò di mano in mano e quando
mi arrivò, l'osservai bene era perfetto in ogni particolare, dall'unghia rotta alle pieghe
delle nocche, lo porsi al fratello di spada, "Non lo voglio" disse tirandosi indietro.
In fine il dito fu restituito ad Odisseo che lo rimise nella sacca.
+
Finita la storia tornò tutto come prima il prato le pecore e la pianta che ci faceva ombra
"È una bella storia" dissi "Dove hai trovato davvero quel dito d'oro?" "È il mio" dice muovendo
il suo dito indice, "Mi sono fatto fare un calco da un orafo e poi l'ho riempito d'oro."
+
Mi congedai con un inchino, "Grazie per la storia mio Re, ora se permetti torno al gregge..."
mi sorrise e disse, "Vai pure, io resto qui all'ombra ancora per un po'..."
+
Mentre mi allontano penso che questa storia io l'ho già sentita, spero che nessun Adeo
passi da Itaca e inizi a raccontare di un certo Giasone... Shocked  
+
In memoria di David Gemmell (1948-2006 scrittore) che rese più umane l'Iliade e l'Odissea.

Smile

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