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Mangiotti antichi...

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Non solo  tortellini e ravioli, specialità gastronomica di quasi tutto il nord Italia, anche casoncelli alla bresciana tra i piatti tipici più amati, composti, nella ricetta più semplice da pochi ingredienti come pane secco grattugiato, burro e formaggio, serviti con burro fuso e salvia...
I “ casunsèi” come vengono chiamati in dialetto, seguono una tradizione lunga oltre sei secoli, i primi documenti risalgono al XV secolo, tutt'ora preparati come piatto della memoria dalle famiglie bresciane. In alcune zone il casoncello è considerato un vero e proprio patrimonio. Tra i più famosi ci sono quelli di Longhena e di Barbariga, con un ripieno ricco composto da pangrattato, formaggio grattugiato, prosciutto cotto, erbette, brodo di carne e noce moscata. Per il condimento burro fuso dorato e formaggio in quantità. Da gustare nelle giornate di festa...


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Nel ‘500 Venezia diventò il centro della stampa di argomento gastronomico in Italia, di cui uno dei principali esponenti fu Cristoforo da Messisbugo, cuoco e organizzatore di banchetti alla corte estense di Ferrara. Il suo libro è il più completo e vario di quel tempo: “ Banchetti compositioni di vivande et apparecchio generale”,pubblicato e ristampato fino al ‘600. Conteneva 315 ricette tra “potacci” (zuppe) minestre quaresimali, pasticci di ogni tipo”sapori” (salse) da grasso e da magro”, carni,pesci, formaggi e così via. Erano ancora le spezie ma la moda stava cambiando, s’imponevano lo zucchero (nuovo status symbol) e la pasta, anche ripiena. A primeggiare erano le tradizioni locali: tortelli d’uova alla fiorentina, torte alla ferrarese e alla lombarda, maccheroni alla napoletana.
Altro principale interprete della cucina medievale fu Domenico Romoli detto “panunto”, con la sua “Singolar dottrina”, dove emerge il piacere di condividere con il lettore le proprie conoscenze, in una specie di enciclopedia dell’arte gastronomica.
Altro innovativo fu Domenico Scappi, cuoco del papa che nella sua “Opera dell’arte di cucinare” del 1570 anticipò precetti dietetici moderni, introdusse infarinatura e impanatura e preferì il ricorso ad animali di allevamento rispetto alla selvaggina dominante nel medioevo.
La sua ricetta per l’orata:

L’ORATA DI SCAPPI
“Piglinosi l’orate fresche, scaglionsi (togliere le scaglie) e levinosene gl’interiori. Ponganosi in un vaso di terra, con olio, vino, acqua, agresto (aceto), sale,pepe,cannella, zafferano, prugne, cipollette, uva spina  e facciasi cuocere. All’ultimo pongavisi una mano d’erbette battute”.
Bartolomeo Scappi, 1570
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Tempo di feste, di pranzi più o meno “luculliani” (diciamo forse meno, data l’aria che tira), il mangiar bene è sempre stato uno dei maggiori piaceri pure nei secoli passati.
Uno dei primi ricettari di cucina si attribuisce a un personaggio vissuto nel I secolo d.C., dal titolo: “De re coquinaria”, dedicato probabilmente ai cuochi degli aristocratici romani, con le vivande a base di carni, pesci, erbe, vini aromatizzati e tante salse, componente fondamentale dell’antica cucina romana, in particolare del tanto celebre e altrettanto puzzolente Garum!
Nel Medioevo, con la diffusione della stampa la letteratura gastronomica conobbe un primo vero impulso, permettendo gi scambi culinari tra i diversi regni e le signorie, per cui si potrebbe ritenere che l’Italia, divisa fra stati e staterelli, si fece a tavola, prima che in politica.
Capostipite del filone letterario fu il “Liber de coquina”, scritto in latino alla fine del XIII secolo, dove s’insegnava a cucinare in vari modi piatti raffinati e complessi. Rimasto in uso fino alla fine del XIV secolo, il testo si diffuse in tutta la penisola e fu tradotto nelle lingue varie europee, dedicato, principalmente alla cucina aristocratica e di corte.
I primi ricettari scritti direttamente in lingua volgare riportavano preparazioni di uso prettamente domestico, destinati alla classe media e non solo ai cuochi dei signori di corte.
Il filone domestico si diffuse solo in Italia, specialmente seguito era il “Libro per cuoco “, il cui  autore, un anonimo veneziano s’ispirava anche a ricette della cucia della corte  di Federico II, come nel caso della “Torta manfreda bona e vantaggiata” (con ventre e fegatelli de polli, panza de porco”. Forniva dosi abbastanza precise, con il tono dolce e altalenante del dialetto veneto, per esempio questa:
“Lo stufato veneziano”
Toy (prendi) sei polastri e fai sofrigere in lardo, poy sema (riduci) del lardo s’el ghe n’è tropo; habij late de mandorle destemperato cum agresta (aceto), habij zenzero e taialo menuto, habij datal (datteri) e taiali (…) e dà colore a questa vivanda de zafarano.

Anonimo veneziano, XV secolo. Rappresentò un passo avanti nel variegato mondo della gastronomia.  


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Le frodi alimentari non sono invenzione di oggi. I cibi adulterati sono sempre esistiti.
Nel 1292 la corporazione dei birrai parigini dovettero intervenire per intimare di smettere di aggiungere bacche alla birra per mascherarne la cattiva qualità. E sempre a Parigi nel 1396, un’ordinanza vietava di vendere burro vecchio, colorato o mischiato con erbe.
Il colore rubino del vino si otteneva a volte aggiungendo ossido di piombo(?), invece gli inglesi nel 700 rischiavano di bere gin mischiato all’acquaragia e nell’800 di mangiare pane sbiancato con allume, o ancora cacao alla polvere di mattoni o zucchero con polvere di marmo.
Tempi duri, insomma!!! 
Uno dei più antichi ricettari fu scritto nel IV secolo a.C. da un poeta della Magna Grecia.
L’opera, “Poema del buongustaio” era un trattato gastronomico scritto sotto forma di poema epico in esametri. Sotto la penna del poeta scorrevano olive “ rugose e mature”,  matrici di scrofe bollite e condite con  salsa di cumino aceto e silfio( un’erba estinta), tutta la tribù di degli uccelletti di stagione , ortiche di mare multichiomate (attinie), e tutta una serie di pesci, come la bonita, ottima in autunno  “quando tramontano le Pleiadi”.   
 
Alcune ricette”antiche”
La zuppa toscana:
prendi pane rotondo, friggilo in padella con lardo fresco e gittavi su bone spezie, e togli pane abbrusticato e distemperalo col grasso che sia caduto di pavoni, e gittalo sopra  il pane fritto e di sopra gittavi zuccaro o succhi acetosi, e mangia.
Da -Anonimo  toscano, XV secolo -
 
I tortelli di Messisbugo.
Piglia una libra di zuccaro, e libre tre di mandorle, libra mezza di uva passa, libre due di spinaci, il tutto pestato nel mortaio.
Amalgamare con acqua di rosa. Farai due sfoglie sottili, e col bussolo farai le pastelle. Fatti i tortelletti li friggerai in buon olio e ci porrai sopra zuccaro.
Cristoforo da Messisbugo, 1549
 
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