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PEGGY GUGGENHEIM, LA MECENATE

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Peggy Guggenheim fu una donna che amò gli artisti e l’arte, sempre fuori dagli schemi, vittima di un insaziabile bisogno d’amore, alla ricerca, forse, di una figura paterna che colmasse la perdita del padre, morto nel disastro del Titanic, affondato nel 1912.
Se oggi abbiamo in Italia un museo d’arte moderna importante come la collezione Guggenheim di Venezia, è grazie a lei, ragazza newyorkese, che scelse di trasferirsi nella città lagunare.
Nel 1922, conosciuto un pittore squattrinato, innamorato dell’avanguardia europea, Laurence Vail lo sposò e si trasferì con lui a Parigi, entrando subito a far conoscenza con la migliore avanguardia europea.
La vita coniugale cominciò a sgretolarsi quando il marito iniziò a bere e tra loro furono litigi, botte e scene isteriche. Peggy lo lasciò nel 1928, dopo di che vagò tra Londra e Parigi. Quando inaugurò la sua galleria londinese, il Guggenheim Jeune, al suo interno c’erano le opere dei maestri che stavano scrivendo la storia dell’arte: Kandinsky, padre dell’astrattismo, Dalì, surrealista e Braque, cubista.
Il suo criterio per scegliere le opere obbediva a due parole d’ordine: scandalizzare e provocare. Amava gli artisti irriverenti, ma non si muoveva ingenuamente nel mercato dell’arte. Non potendo contare sullo zio Solomon, fondatore del Museo Guggenheim di New York, si circondò sempre di consulenti abili e competenti.
 
Nel 1937 intrecciò una storia amorosa con Samuel Beckett, uno dei massimi drammaturghi del secolo scorso, autore di “Aspettando Godot”.
Nella sua biografia, Peggy racconterà di lui: “Era un irlandese alto e ossuto di circa trent’anni, con enormi occhi verdi che non ti guardavano mai in faccia. Portava gli occhiali ed era sempre distante, in cerca della soluzione di un problema intellettuale.
 
Allo scoppio della guerra, negli anni 40, lasciò l’Europa e tornò in America, portando con sé numerose opere, salvando dalla minaccia nazista la sua collezione di “arte degenerata”, com’era bollato dai nazisti quanto non rispondeva alla loro estetica. Nascosti sotto abiti e cappotti, spedì negli Stati Uniti casse di Kandinsky, Mirò, De Chirico, Severini, Dalì e molti altri, come “effetti personali, poi s’imbarcò essa stessa per New York, dove aprì la galleria Art of this Century.
Nel 1947 tornò in Europa, dove a Venezia, alla Biennale del 1948, espose per la prima volta la sua collezione e comprò, sulle rive del Canal Grande, Palazzo Venier, dove trasferì i suoi tesori.
Venezia, le conferì, nel 1962, la cittadinanza onoraria e sarà quella, la sua ultima patria. Nel suo palazzo accolse per oltre trent’anni artisti, turisti e appassionati d’arte. Morì nel 1979, a 81 anni, lasciando all’Italia la sua collezione, o, per meglio dire, chiese che le sue opere rimanessero in Italia, pur cedendole alla fondazione dello  zio Solomon.
 
 
 
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