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libri & viaggi --- Recensione libri -

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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 ALIEN+INVASIONE+3
 
Un’invasione aliena prospettata due professori statunitensi.
Intanto ne approfittano per dare alle stampe un loro manuale contenente suggerimenti da seguire per difendersi dalle azioni aliene.
I due ricercatori, laureati in astronomia e fisica, nel manuale intitolato” Introduzione alla difesa planetaria”, spiegano in quale modo contrastare l’invasione degli alieni.

Sembra che le copie del libro fatto seguire al manuale, siano andate esaurite in poco tempo, e che anche il Ministero della Difesa statunitense e la Nasa, ne siano stati interessati. In “Alien Invasion- Come difendere la Terra”, i due esperti hanno sviluppato un piano strategico dettagliato per sopravvivere a un’invasione aliena.
Sarà il caso di procurarcene una copia? Qui, già vedo e prevedo la reazione di un "cert'uno"! e poi mi si dica che non sono telepatica...Ahi!
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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Empty Simulacra and Simulation

Messaggio  Charade

Derivato da un reference di : The Matrix, allucinante film cult sulla realtà virtuale , vi consiglio questo significante libro che partendo dall'IDEAtore del simposio , arriva ai giorni nostri , elucubrando temi e prospettive tra ciò che è simulatorio e ciò che rappresenta solo un simulacro , ossia un'apparenza che non è connessa ad alcuna realtà ma che tuttavia si pone come se fosse essa,,, 
 
Il simulacrum in origine , era una statua o figura che aveva rappresentazione di divinità , ma che non era e non poteva essere il dio evocato o ad esso associato - 


Io ho la versione inglese , se qualcuno ha quella italiana , che la condivida - please !!!

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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Addio-alle-armi-riassunto
 
ADDIO ALLE ARMI  
Di Ernest Hemingway

 
Il grande scrittore, appena diciottenne, nel 1914 si arruolò volontario come autista di ambulanze della Croce Rossa, operante sui fronti della Grande Guerra.
Nel 1918 fu inviato sul fronte italiano, ed è a quell’esperienza che Hemingway si ispirò per il suo romanzo, scritto nel 1929, traendone pagine di grande valore letterario e di profondo spessore umano.
Tradotto in numerose lingue, si affermò come romanzo sostanzialmente pacifista, privilegiando i grandi valori dell’amore e dell’umanità.
Il protagonista, il tenente americano Frederick Henry, si trova nel 1918 a combattere a fianco degli italiani contro gli austriaci.
Aveva lasciato l’America per spirito d’avventura, e si rende presto conto di quanto la guerra sia una cosa sporca, un delitto contro l’umanità. Vorrebbe andarsene, tornare in patria, ma il senso del dovere lo convince a restare, anche perché consapevole di trovarsi dalla parte giusta, contro il sopruso e contro la prepotenza dell’Impero austriaco.
Al fronte conosce un’infermiera inglese, Catherine Barkley, con la quale si istaura un’immediata simpatia. Quando è ferito  e inviato in ospedale a Milano, è proprio lei che si prende cura di lui e la simpatia diviene amore. In queste pagine l’autore descrive una Milano bellissima, vista come una città romantica, degna di fare da sfondo a una storia d’amore tenera e delicata. Al termine dell’estate Catherine gli rivela di aspettare un bambino, ma quando lui propone di sposarla, lei rifiuta per non essere rimpatriata. Henry, deluso, ritorna al fronte, giusto in tempo per vivere le tragiche giornate della ritirata di Caporetto. È un dramma che travolge un intero esercito, coinvolgendo tutto il paese. Nelle pagine che descrive la disfatta, Hemingway si esprime con estremo realismo, mostrando una volta di più l’assurdità di quella guerra e, di tutte le guerre. La descrizione della fucilazione dei disertori è una delle pagine più alte della letteratura di tutti tempi.
Stanco della violenza, abbandona il fronte: ha bisogno di pace per ritrovare la serenità perduta.
Ritrovata Catherine, che non si è liberata del nascituro, partono insieme per la svizzera. Per lui, la guerra è conclusa.
Trascorrono momenti felici, ma lui sente incombere un senso di tragedia. Forse è il rimorso di aver abbandonato, grazie alla sua condizione di straniero, i combattenti che sul fronte italiano tentano di resistere all’avanzata austriaca. Sente di non poter essere felice con la catastrofe che sta travolgendo il mondo intero. Infatti, felice non lo può essere: al momento del parto Catherine muore, e con lei il bambino. Henry rimane solo e in preda all’infelicità più cupa.  
Hemingway, in Addio alle armi, tocca le corde della commozione e del coinvolgimento del lettore, senza usare una parola di troppo e senza troppo compiacersi in descrizioni sentimentali. Ciò che importa all’autore sono i fatti, commoventi nella loro nuda essenzialità.
Nei due film che ne furono tratti, il primo nel 1932, con Gary Cooper, e l’altro con Rock Hudson E Jennifer Jones, non fu raggiunta l’intensità e la bellezza del testo del romanzo.  
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In attesa che un libro venga telepaticamente svelato , vi saluto e vi lascio la mia buonasera --- 

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Ecco qui il frontespizio di un libro che avevo indicato a Semyase per la ns diatriba sul reale * 

libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Miste_10

Il tempo di andar a ritrovare e ricommentare alcuni pregevoli passi e li inserirò qui di seguito - 
Un libro adatto a tutti quelli che vogliono fare un salto di qualità nella logica confusionaria e complessa dell'inadeguato credere , soprattutto d'origine istintivo/impulsivo - 
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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 B81f_12
 
UNA LIRICA DI RABINDRANATH TAGORE
 
Tagore compose le sue liriche migliori nella lingua della sua gente, il bengali, ma fu elegante scrittore anche nella lingua inglese. Profondo conoscitore della lingua occidentale, riuscì a fondere il misticismo indiano con una specie di delicato romanticismo d’ispirazione europea.

GITANGIALI ( offerta di canti)

Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio quando nella lontananza apparve il tuo aureo cocchio come un sogno meraviglioso; io mi domandai: chi sarà questo Re di tutti i re?
Crebbero le mie speranze e pensai che i miei giorni tristi sarebbero finiti: stetti ad attendere che l’elemosina mi fosse data senza chiedere che tutte le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere.
Il cocchio mi si fermò accanto. Il tuo sguardo cadde su di me e scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita. Ma tu ad un tratto stendesti la mano dritta dicendomi: “cosa hai da darmi?”
Ah, qual gesto regale fu quello di stendere la tua palma per chiedere a un povero! Confuso ed esitante tirai fuori lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e te lo diedi.
Ma qual non fu la mia sorpresa quando, sul finir del giorno,vuotai per terra la mia bisaccia e trovai nello scarso mucchietto, un granellino d’oro! Piansi amaramente di non aver avuto cuore di darti tutto quello che possedevo.

Il giorno che la morte busserà alla tua porta, che cosa le offrirai?
Oh, porgerò alla mia ospite la coppa traboccante della mia vita, non la lascerò dipartire da me a mani vuote.
Tutta la soave vendemmia di tutti i miei giorni d’autunno e delle mie notti d’estate, tutto quanto ho acquisito e spigolato nella mia vita operosa, lo porgerò a lei al termine dei miei giorni, quando la morte busserà alla mia porta.  
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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Guerra-e-pace
 
LEV TOLSTOJ: IL PRINCIPE ANDREA
 
Con quell’immenso affresco di vita russa che è il suo romanzo  “Guerra e pace”,  il grande scrittore russo ha espresso la misura del suo ingegno creativo e della sua grande  sensibilità storica.
Pochi hanno saputo cogliere, come lui, nel proprio tempo, i segni del declino di una società e l’affacciarsi di una nuova umanità.
Il principe Andrea è il protagonista e il simbolo di questo travaglio. Il giovane aristocratico avverte l’inesorabile decadere della sua classe e dei privilegi che la sostengono, ma egli stesso non sa staccarsene. Solo vicino alla morte, ferito nel campo di Austerlitz, dove i francesi hanno battuto i russi, con lo sguardo rivolto all’immensità del cielo, ascoltando la voce di Napoleone disperdersi nel nulla, intuisce la sublime verità che lo sorregge da tutte le piccole cose della terra.

"Che è questo? Cado? Le mie gambe si piegano" pensò; e cadde sulla schiena. Aperse gli occhi, sperando di vedere come fosse finita quella lotta dei francesi con gli artiglieri, desiderando di sapere se l'artigliere rossiccio fosse ucciso o no, se i cannoni fossero presi o portati in salvo. Ma non vide nulla. Al di sopra di lui non c'era nulla, non c'era che il cielo - un cielo alto, non luminoso, ma, ciò nonostante, incommensurabilmente alto, con nuvole grigie che quietamente strisciavano su di esso. "Come è calmo, tranquillo e solenne! Non è affatto come quando correvo" pensò il principe Andrea, "non è come quando correvamo, gridando, e ci battevamo; non è affatto come quando il francese e l'artigliere con le facce furiose e spaventate l'un l'altro lo scovolò; ben diversamente da allora vanno le nubi per questo cielo alto, infinito. Come mai non ho veduto prima questo cielo sublime? E come sono felice di averlo finalmente conosciuto! Sì! Tutto è vano, tutto è illusione, tranne questo cielo infinito. Non esiste nulla, tranne esso. Ma nemmeno esso esiste; non esiste nulla, tranne il silenzio, la quiete, il riposo. E sia lodato Iddio!…"

In quel medesimo luogo dove era caduto con l’asta della bandiera tra le mani, giaceva il principe Andrea Bolkònski, perdeva sangue e, senza saperlo si lamentava con gemito sommesso, querulo, infantile.
Verso sera cessò di lamentarsi e tacque del tutto. Non potè mai sapere quanto fosse durato quel deliquio, ad un tratto si sentì di nuovo in vita e straziato da dolore cocente e lancinante al capo.
“ Dov’è quel cielo alto ch’io finora non conoscevo e che oggi ho veduto?” fu il suo primo pensiero.” Pensò “ sì, io non sapevo nulla, nulla, fino ad ora. Ma dove sono?”.
Rimase in ascolto e udì un calpestio di cavalli che si avvicinava e il suono di alcune voci che parlavano in francese. Aperse gli occhi. Al di sopra di lui era di nuovo quel medesimo, profondo cielo con le nuvole galleggianti che si erano alzate ancora di più, attraverso le quali si scorgeva un’immensità azzurreggiante. Non volse il capo e non vide coloro che, come capiva dallo scalpitio e dalle voci, si avvicinavano e si fermavano vicino a lui.
Quei cavalieri erano Napoleone e due aiutanti di campo che lo accompagnavano. Bonaparte dava gli ordini e osservava gli uccisi e i feriti rimasti sul campo.
“De beaux hommes” (bella gente!) esclamò guardando un granatiere russo ucciso che, con la faccia contro terra e la nuca annerita, giaceva bocconi, con un braccio disteso, discosto dal corpo e già irrigidito.
Scostandosi di qualche passo, si fermò vicino al principe Andrea che giaceva supino con l’asta della bandiera discosta da lui. (la bandiera, come trofeo, era stata già presa dai francesi)
“Voilà une belle mort!” (ecco una bella morte!) disse Napoleone guardando Bolkònski.
Il principe Andrea comprese che quelle parole si riferivano a lui ed erano pronunciate da Napoleone. Aveva udito quelle parole come avrebbe udito il ronzio di una mosca. Il capo gli scottava; sentiva di perdere il suo sangue e vedeva al di sopra di sé il cielo lontano, alto ed eterno. Sapeva che  quell’uomo era Napoleone, il suo eroe, ma in quel momento gli sembrava un uomo immensamente piccolo e miserabile, in paragone a ciò che accadeva ora fra la sua anima e quel cielo alto, infinito. Gli era del tutto indifferente chi fosse l’uomo  che era là quasi sopra di lui, e che cosa dicesse di lui; era contento soltanto che degli uomini si fossero fermati accanto e desiderava soltanto che quegli uomini lo aiutassero e lo facessero tornare alla vita, che gli pareva così bella, perché egli la comprendeva ora così diversamente. Raccolse tutte le forze per muoversi e proferire un suono qualsiasi. Agitò debolmente la gamba ed emise un gemito flebile e doloroso che impietosì anche lui.
“Ah, è vivo”  disse Napoleone, “ sollevate questo giovane, (ce jeune homme), e portatelo al posto di medicazione”.
Detto ciò, Napoleone spinse il cavallo incontro al maresciallo Lannes, che, toltosi il cappello, sorridendo e in atto di congratularsi della vittoria, gli si avvicinava.    
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(L'antiquario, Valentin, e La pelle di zigrino - Adrien Moreau, 1897)
 
HONORE’ DE BALZAC
 
Lo scrittore francese Honoré de Balzac (1799- 1850) visse in età romantica ma rinnovò completamente il romanzo, tanto da essere considerato uno dei primi autori tipici del romanzo realistico e sociale.
Il brano che segue è uno spunto che ho preso da un‘analisi acuta e spiritosa che Theophile  Gautier (il noto autore di Capitan Fracassa) ne fa, analizzando uno dei lati caratteristici del realismo dei romanzi di Balzac.
“ Un pensiero dominante di Balzac? Il denaro. Nessuno fu meno avaro di Balzac, ma il suo genio gli faceva presagire quale vasta influenza doveva avere nell’arte questo eroe metallico.
Fino allora il romanzo s’era limitato alla pittura di un’unica passione: i personaggi di questi racconti del tutto psicologici non mangiavano, né bevevano, né avevano casa, né conti con il sarto…. Se volevano viaggiare, mettevano, senza prendere passaporti, poche manciate di diamanti in fondo alle tasche e con questa moneta pagavano i postiglioni, i quali non esitavano a far crepare i loro cavalli a ogni cambio di posta: castelli d’una architettura vaga li accoglievano al termine delle loro corse e col sangue scrivevano alle loro belle interminabili epistole datate “dalla torre di Nord”. Le eroine somigliavano ad acquetinte di Angelica Kaufman (pittrice svizzera): gran cappello di paglia, capelli dai riccioli quasi disfatti all’inglese, lunga veste di mussolina bianca stretta in vita da una sciarpa azzurra.
Col suo profondo istintivo senso della realtà, Balzac comprese che la vita moderna che egli voleva ritrarre era dominata da un grande fattore: il denaro, e nel suo romanzo “ Pelle di zigrino”, ebbe il coraggio di presentare un innamorato preoccupato non solamente di sapere se ha toccato il cuore di colei che ama, ma anche se avrà abbastanza quattrini per pagare la carrozza in cui la riaccompagna.
Simile audacia è forse una delle più grandi che si siano osate in letteratura, e da sola basterebbe a immortalare Balzac. Lo stupore provocato fu profondo e i puri s’indignarono di questa infrazione alle leggi del romanzo, ma tutti  i  giovani che, andando al ricevimento serale di qualche dama, con i guanti bianchi ripuliti con la gomma, che avevano attraversato Parigi come danzatori sulle punte dei loro scarpini, paventando una goccia di fango più d’un colpo di pistola, compresero, per averle provate, le angosce di Valentin (il protagonista del romanzo) e s’interessarono vivamente a quel suo cappello che egli non può rinnovare e conservava  con cure così minuziose.”

La Pelle di Zigrino, trovata da Valentin, un giovane amante della bella vita, in un negozio d’antiquariato, era divenuta il suo talismano, capace di soddisfare ogni suo desiderio. A ogni piacere che gli procurava, però, la pelle tagliata a sua misura si restringeva, accorciandogli nello stesso tempo la vita. Se ne accorse ormai troppo tardi, e nonostante ormai conducesse vita attenta e morigerata, senza concessioni e senza più cercare di rincorrere il successo, non riuscì a sfuggire al suo destino e sparì insieme alla pelle di zigrino.  
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GABRIEL GARCIA MARQUEZ - CENT’ANNI DI SOLITUDINE
 
Fu con questo romanzo che Marquez, scrittore colombiano, ottenne il Nobel per la letteratura nel 1982.
La critica lo scandagliò in vari modi e sottoposto ad analisi minuziose di carattere semiologico, psicanalitico, strutturalistico. Fu vincolato a contesto religioso ed esoterico, rapportato al mito di Edipo e dell’incesto, si parlò di simbologia alchemica e di realismo magico. In questo romanzo lo scrittore, con il suo bagaglio di “visioni e prodigi” riesce a reinventare il mondo, a liberare il folclore dalla testimonianza naturalistica di maniera, dalla denuncia politica fine a se stessa, un’ampia zona dell’immaginazione ispano-americana.  

Il motivo ricorrente in “Cent’anni di solitudine” sono l’alchimia e il processo alchemico.
Uno dei personaggi principali è un alchimista. Il suo nome è appunto Aureliano, deriva dal latino “aurum”, oro. Il nome è appartenuto a molti componenti della famiglia intorno a cui ruota la storia. Alla fine del romanzo, Aureliano Babilonia, l’ultimo membro della dinastia, scorre rapidamente un testo appena decifrato che si rivela essere la storia sua e della sua famiglia. Il libro diviene così il Libro della Storia, il Libro della realtà, della Vita.
Il libro termina con un apocalisse :
“… a questo punto, impaziente di conoscere la propria origine, Aureliano passò oltre. Allora iniziò il vento, pieno di voci del passato, di mormorii, di gerani antichi, di sospiri, di delusioni anteriori alle nostalgie più tenaci. In quel momento stava scoprendo i primi indizi del suo essere, in un nonno concupiscente che si lasciava trascinare dalla frivolità, in cerca di una donna bella che lo facesse felice. Era così assorto che non sentì l’assalto del vento, la cui potenza ciclonica strappò dai cardini le porte e le finestre. Scoprì che Amaranta Ursula non era sua sorella ma sua zia, e che Francis Drake aveva assaltato Riohacha perché loro potessero cercarsi per labirinti più intricati del sangue, fino a generare l’animale mitologico che avrebbe posto termine alla stirpe.
Aureliano saltò molte pagine e cominciò a decifrare l’attimo che stava vivendo e lo decifrava mano a mano che lo viveva, profetizzando se stesso nell’attimo di decifrare l’ultima pagina delle pergamene, come se si stesse vedendo in uno specchio…..
… tuttavia, prima di arrivare verso il finale sapeva già che non sarebbe più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell’attimo stesso in cui Aureliano avesse terminato di decifrare le pergamene, e tutto quel che vi era scritto era irripetibile per sempre, perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda possibilità sulla terra.”

Garcia Marquez, sottolineando il valore della scrittura, unica felicità fine a se stessa, ebbe a dichiarare: “ Credo che il dovere rivoluzionario dello scrittore sia scrivere bene, che il romanzo ideale è un romanzo assolutamente libero, che non solo inquieta per il suo contenuto politico e sociale, ma anche per il suo potere di penetrazione nella realtà. E meglio ancora se è capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio”.
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Messaggio  Teti

Ciao Annalì e Tino.
Un buon insegnante sarà sempre ricordato,come quello cattivo,aggiungo: arduo il compito di chi dovrebbe "plasmare" le generazioni future!
Di chi,attraverso lo studio di quelle passate,dovrebbe darne la giusta valutazione e attraverso la quale orientare la lettura del presente.
Insegnare ad amare la lettura,non per acquisire nozioni fini a sè stesse,ma per aprire la mente e renderla autonoma,non schiava di "pregiudizi" di parte.
Teti
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Grazie Tino! Sempre gentile e disponibile al dialogo!
Un + pure per te!
Ciao...
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Messaggio  misterred

annali ha scritto:
 
"Il tempo di leggere, come il tempo per amare
dilata il tempo per vivere".
Daniel Pennac

 
             

Perchè bisogna motivare e scegliere meglio gli insegnanti. Insegnare non è solo una occasione di lavoro. Bisogna "sentirsi" insegnanti", con relativa pazienza, amore per il lavoro, spirito di sacrifico e continuare a leggere e studiare, ampliare le conoscenze, essere al passo con i tempi.
Non sentirsi mai arrivati.
Non è facile esere insegnanti. Un buon insegnante sarà sempre ricordato. Un cattivo insegnante può fare danni; sarà ricordato anche lui (purtroppo).
Ti do un +
misterred
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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Bessoni6   libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Bessoni2
 
STEFANO BESSONI - ALICE SOTTOTERRA
 
Nel libro ci si ritrovano le emozioni di “Alice nel paese delle meraviglie”, tuttavia, partendo dal titolo che allude alla prima stesura di Carrol, l’autore scava ancor più  nel profondo dell’inconscio, addentrandosi nel sottoterra magico avvolto nei misteri, dove riemergono  paure e  ossessioni..
Con le baluginanti visioni del coniglio schelettrico, del cappellaio matto e  di un bruco spaventoso, una ragazzina, per niente assomigliante all’attraente Alice originaria, ne rivive similmente le avventure, all’interno di una storia ai confini tra realtà e immaginazione.  
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SHANGRI-LA  
 
Dalla fine del settecento in poi gli scenari grandiosi e spirituali del Tibet hanno colpito l’immaginazione occidentale, specialmente dopo i resoconti di un funzionario delle Compagnie delle Indie Orientali, il primo europeo a entrarvi.
I sui racconti descrissero il mito di un Oriente fuori dal tempo, dedito ai lavori della pace e della spiritualità, confermato dagli esploratori che ne seguirono i passi.
Il nome Shangri-La, è probabilmente la storpiatura di Shambala, che, nell’immaginario dei popoli tibetani e himalayani era identificata con una sorta di paradiso perduto, nascosto tra le montagne che si snodano per migliaia di chilometri dal Pakistan alla Cina.
Lo scrittore James Hilton creò il sogno di Shangri-La, negli anni trenta del novecento, in un romanzo: “ Il Paradiso perduto”, che divenne un best seller e, più tardi, nel 1937, un film.
Diversi racconti leggendari raccontano della scoperta di un luogo denominato Beyul Khenbalung, ovvero la valle segreta dell’Artemisia, localizzata nel Buthan, così chiamata  dalla pianta aromatica e curativa che vi cresce abbondante.
Il carattere paradisiaco delle cosiddette “valli nascoste”, spazi naturali incastonati nel paesaggio, con corsi d’acqua e di pascoli sempreverdi, persino nei rigidi inverni Himalayani, ha generato elevati incantamenti riconosciuti dai primi esploratori della regione.
Dalle loro descrizioni colme di stupore si legge, nei resoconti rilasciati al ritorno, di “ meravigliose camminate attraverso la foresta, con i raggi del sole che brillavano sul verde scuro delle foglie dei rododendri. Nel sottobosco una intensa fioritura di rose selvatiche, cespugli con corolle di bacche scarlatte, bambù,  betulle, salici; pascoli pennellati di genziane e di ogni varietà di fiori alpini che s’inerpicano fino a i limiti dei ghiacciai”. Veramente racconti pieni di meraviglia genuina.
Oltre alle bellezze naturali si trovano mistici recessi, spesso accessibili solo attraverso impervi valichi, che da secoli avevano ispirato tradizioni e leggende. Si riteneva, per esempio, che le vie di accesso fossero state aperte grazie ai poteri magici di mistici monaci.
Shangri-La. Dove la storia e il mito si intrecciano.
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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Empty DIARIO DI SCUOLA - DANIEL PENNAC

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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 O_2037_Low
 
"Il tempo di leggere, come il tempo per amare
dilata il tempo per vivere".
Daniel Pennac

 
Questo suo diario scolastico Pennac lo inizia così: “ Cera una volta uno studente somaro che andava malissimo a scuola e non imparava mai niente…”.
Quel ragazzo era Daniel Pennac stesso, che nel suo diario scrive:
“Ogni sera della mia infanzia tornavo a casa perseguitato dalla scuola. I miei voti sul diario dicevano la riprovazione dei miei maestri. Quando non ero l’ultimo della classe, ero il penultimo”.
Proseguendo, incontra docenti che intuendo le sue capacità creative, accettano che lui si esprima anche non seguendo tutto quanto i programmi scolastici richiedono di eseguire.

Pennac tesse un elogio della duttilità del docente, professionista dotato di cultura, conoscenze e sensibilità nel riconoscere il complicato materiale umano sul quale si trova a lavorare.
È l’elogio dedicato alla professione docente, nonostante oggi non goda dello stesso prestigio sociale del tempo passato.
“Ho sempre incoraggiato i miei amici e i miei allievi più brillanti a diventare insegnanti. Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo, chi mi ha salvato dalla scuola se non tre o quattro insegnanti?”.
Dal romanzo di memorie (di lui, prima come studente e poi come professore) passa al saggio narrativo ricco di spunti di riflessione sull’insegnamento, con un’aperta nostalgia per cose che la scuola di oggi molto spesso mette in archivio. Come, ad esempio, l’imparare le poesie a memoria: “E perché non imparare questi testi a memoria? In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché ce ne manca il tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione? È davvero auspicabile non trattenere simili incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci le mani per averli lasciati scappare via?”
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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 Empty IL REGNO DEI GUFI - MARTIN HOCKE

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libri & viaggi --- Recensione libri -  - Pagina 4 9788838478147
 
Questo è uno dei volumi che fa parte di una trilogia ormai introvabile, dunque ritengo sia stato un vero colpo di fortuna esserne venuta in possesso per puro caso. L'avvincente saga, scritta da Martin Hocke, uno dei maggiori scrittori di fantasy britannici, è una magica unione di fiaba e leggenda, di avventura e idillio, pervasa da un profondo amore per la natura. Vi è descritto l’incanto dei sentimenti a cui muovono le creature di mondi diversi, in questo caso, il mondo dei gufi dei granai.
Un mondo, il loro, minacciato dalle improvvise gelate invernali, dalla natura non sempre amica, con l’affannosa giornaliera ricerca del cibo. Un mondo bello e terribile a un tempo, un misto di amore, di guerre e di eroismo, vissuto nella costante paura dell’ignoto, ai confini di un regno perduto, un territorio proibito dove nessun gufo è mai volato.

Mi è valsa la pena averla riletta, con commozione leggendo specialmente le ultime pagine, dove si spegne la vita del coraggioso giovane gufo Hunter, che ha combattuto in difesa della comunità dei gufi, minacciata prima da un gigantesco Gufo Reale, poi dal fucile dell'uomo.

“Poi la terra si sollevò sotto il suo corpo morente, il cielo sopra di lui si svuotò e invece della luna e delle stelle Hunter vide tutti gli altri gufi che aveva conosciuti, in un improvviso lampo di agonia.
Fu preso da una tristezza penetrante, unita alla certezza che in questo mondo non si sarebbero più incontrati: che cosa sarebbe capitato a quelli ancora in vita e cos’era accaduto a quelli che erano morti da tanto tempo?
In quell’ultima commovente visione, vide che l’unica cosa che avevano in comune, tutti quei gufi, era il fatto che lui li avesse conosciuti e ricordati. Il fatto che quel microcosmo sarebbe morto con lui lo rese molto più triste del pensiero stesso della fine, che si stava rapidamente avvicinando.
Proprio alla fine gli ultimi pensieri furono per l’idillio che aveva vissuto con la piccola Alba, il suo primo amore del regno perduto.
Morì con la profonda convinzione che potessero ancora incontrarsi nel luogo in cui stava andando, così infinitamente al di sopra delle alte montagne, al di là della luna e delle stelle.
Era stata una vita dura: aveva conosciuto dolore guerre e sofferenze, ma anche una grande felicità. Perciò era giusto che i suoi pensieri sulla Terra fossero di fede e di speranza. Sperò in un futuro più pulito per la sua specie e per sé, giunto alla fine, sperò in una pace profonda e eterna”.
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