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Il tribunale segreto santa Vehme

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Il tribunale segreto santa Vehme SEGRETI_SANTA_VEHME_26-27_680
 
Tra il XII e il XIII secolo, in Germania, si era diffusa la presenza di un’organizzazione inquirente, in grado di scovare e punire colpevoli di qualsiasi reato. Il suo pugno di ferro non risparmiava nessuno, nemmeno i personaggi più influenti. Chi riceveva la pergamena con sette sigilli, in teoria doveva ritenersi morto, senza possibilità di appello.
Era il tribunale cosiddetto della “Santa Vehme”, la cui organizzazione era segreta a tutti, guai a che avesse osato indagare tra i segreti celati nei suoi statuti. I sui processi, a quanto è emerso, erano istruiti da giudici mascherati, che nella realtà, più che magistrati si riteneva fossero lugubri sterminatori.
Studiosi medievali e rinascimentali ne legarono la nascita alla volontà di Carlo Magno, insieme al domenicano Enrico da Herfort, l’esoterista Giovanni Tritemio e papa Pio II, avvallata questa paternità dal “Codice di Dortmund”, in pratica una raccolta degli statuti della Santa Vehme.
Sembra che la tesi dell’istituzione voluta da Carlo Magno non convinca molto gli storici contemporanei, ma che l’attribuzione all’imperatore fosse stata uno stratagemma per incutere al popolo maggior rispetto per quell’odiata magistratura.
Il nuovo tribunale, comunque ne fosse l’ideatore, nacque per reazione al clima politico della Germania di quei secoli, investito da una spirale di guerre private tra i potenti di turno, quando si poteva saccheggiare o uccidere o annettere territori anche a spese della popolazione, che non vedeva più tutelati i propri diritti. I tribunali segreti, in ogni modo, non furono certo istituiti per proteggere i diritti di chi stava più in basso nella gerarchia sociale, ma si estesero in base alla domanda di ordine e di punizioni esemplari, non solo a Nord, in Westfalia, dove la misteriosa corte stabilì la sua sede centrale, a Dortmund, precisamente.
All’inizio la competenza del tribunale riguardava un ristretto numero di reati: l’abiura della religione cristiana; la violazione e la profanazione di chiese e cimiteri; l’usurpazione del potere sovrano; le violenze su donne in gravidanza e su malati; la rapina, il furto, l’omicidio e l’incendio.
La Santa Vehme aveva l’imperatore come unico referente, che ai magistrati del particolare tribunale concedeva carta bianca e il “diritto di vita o di morte sugli imputati”.
Nella scala gerarchica, dopo la carica più alta di “gran maestro” venivano i “franchi-conti”, reclutati dai principi del luogo in cui aveva sede il tribunale. A questi magistrati spettava il compito di spedire le citazioni, pronunciare le sentenze e alla fine, eseguire personalmente, senza dissentire da una sentenza anche iniqua, e dovevano uccidere in ogni caso l’imputato pure se di fatto innocente. I franchi–giudici dovevano anche, con obbligo incontrovertibile, impiccare al primo albero chi si fosse fatto cogliere in flagrante a commettere reati di certa gravità.
La macchina del processo era avviata dall’atto della citazione affisso alla porta di casa dell’accusato,  e chi notificava l’atto doveva fare in modo che l’inquisito lo trovasse facilmente. Quando il tribunale segreto cominciò a mostrare il suo volto feroce, diventò più difficile per i messi recapitare le citazioni. Accadeva che talvolta fossero seguiti e uccisi da chi temeva di essere chiamato in giudizio.
Il Codice di Dortmund, fornisce qualche testimonianza sullo svolgimento del processo, che iniziava con l’arrivo del franco – conte nel suo seggio. Accanto a lui erano poste una spada, simboleggiante la croce di Cristo e un ramo di salice, che raffigurava il potere di infliggere dure punizioni per i colpevoli.
Talvolta succedeva che un accusato si rivolgesse direttamente all’imperatore per chiedere la grazia, inutilmente. L’imperatore aveva l’interesse a mantenere insindacabili le sentenze del tribunale segreto, per incutere timore e farsi rispettare dai sudditi.
In nome della Santa Vehme furono commesse molte atrocità, spesso con il solo obiettivo di consumare vendette private. Alla sua organizzazione facevano parte oltre centomila magistrati, molti dei quali inclini a giustiziare ogni cittadino risultante condannabile.
I franchi – giudici, che si facevano chiamare “ illuminati”, ritenevano di poter scovare qualsiasi persona indagata. Non vi erano delitti o colpevoli che potessero rimanere nascosti agli occhi di questi invisibili veggenti.
Fu l’imperatore Sigismondo a porre un primo freno allo strapotere del tribunale segreto, varando nel 1439 una riforma degli statuti, nei quali si dava la possibilità di difesa da parte dell’accusato, e  dal lato della magistratura di accertare le prove della  sua colpevolezza.
Successivamente Federico III, Massimiliano I e Carlo V, limitarono di fatto le competenze della Santa Vehme, che nonostante tutto continuò a lungo nella consolidata polita repressiva.
Saranno infine gli ecclesiastici nel ruolo di commissari episcopali a segnare la prima vera crisi della Santa Vehme, la cui abolizione avvenne ufficialmente per volontà del re di Westfalia Girolamo Bonaparte nel 1811.  
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