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Italiani agli ordini di Custer (Little big Horn)

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Molto si è scritto sulla  celeberrima battaglia combattuto nelle assolate praterie del west tra i "soldati blu" e gli "Indiani del nord-America". Film e libri non si contano e chi non ricorda la scena finale della drammatica battaglia. Custer circondato, pistole in pugno, che cade forse l'ultimo tra i suoi uomini.
Poco si sa che in quella famosa battaglia, combattuta il 25 giugno del 1876 (una domenica) erano presenti diversi italiani.
Non sappiamo con precisione quanti fossero, ma conosciamo i due più famosi che quella battaglia la combatterono realmente (e ne uscirono vivi per raccontarla).
Il primo era un certo J. Martin (Giovanni Martini o Martino, nato forse a Sala Consiliana, ma molti Comuni italiani ne rivendicano i natali.
 Giovanissimo aveva combattuto agli ordine del Gen.Garibaldi (nel 1866). Poi era emigrato in cerca di fortuna e di speranza negli U.S.A e si era arruolato nell'esercito.
Fu lui a vedere vivo per l'ultima volta il generale (in realtà Ten.Colonnello) George Armstrong Custer. Infatti il generale, nella tarda mattinata si era (finalmente) accorto quanto grande fosse grande  l'accampamento indiano. Quindi, chiamò il trombettiere e portaordini Giovanni Martini, fece scrivere un messaggio e lo consegnò all'italiano, con gli ordini di consegnarlo al più presto al cap. Benteen, il quale avrebbe dovuto accorrere in soccorso della colonna di Custer.
A spron battuto, inseguito dagli indiani, dalle frecce e dalle pallottole di questi ultimi, ne uscì indenne e una mezzoretta dopo consegnò il messaggio al cap.Benteen, il quale non volle (o non potè) eseguire gli ordini del suo generale. Gli indiani erano troppo numerosi per afffrontarli in campo aperto. Custer e i suoi uomini ormai erano condannati.
Il cap. Benteen si unì con il magg. Marcus Reno, in un boschetto lì vicino, in attesa degli eventi.
Sappiamo, poi, come finì, e Benteen e Reno furono accusati di non  aver prestato aiuto al generale ma infine furono prosciolti. Il magg. Reno morirà anni dopo alcolizzato.
Il trombettiere Martini invece continuerà la vita militare fino alla pensione, poi vita civile e morirà nel dicembre 1922 a New York investito da un automezzo.
L'altro italiano fu il conte Carlo Di Rudio. Costui ebbe una vita veramente avventurosa e densa di avvenimenti. Anche lui era in quella vallata quel giorno che passerà alla storia.
Era però nel troncone agli ordini del Magg.Reno. Infatti, Custer per aggirare l'accompamento indiano, aveva diviso le sue forze in tre parti, una ai suoi diretti comandi (e che sarà interamente massacrata), le altre due ai comandi del Magg.Reno e la terza al comando del cap. Benteen. Una quarta parte (che non partecipò alla battaglia)  si trovava nelle retrovie con le salmerie e i rifornimenti (e qui sicuramente erano presenti altri italiani).
Chi era Carlo De Rudio (Di Rudio)? Come detto era un italiano che in mezza Europa ne aveva combinate chissà quante, tra cui era stato complice di Felice Orsini nell'attentato ordito contro Napoleone III di Francia. Era scampato alla ghigliottina e dopo varie peripezie (troppo lunghe da raccontare) era emigrato (fuggito) in America, anche lui in cerca di fortuna e di avventure.
Quel giorno, insieme ad un gruppetto di uomini si era sperduto nel corso della battaglia e nella notte era rientrato nelle linee amiche del magg. Reno.
Dopo aver massacrato la colonna del gen.Custer, gli indiani si erano rivolti verso le linee di Reno e Benteen con l'intento di spazzare pure loro. Ma poi, visto da lontano che altre colonne di fanteria si stavano avvicinando  (erano i reparti del gen.Terry e di Gibbon) disistettero.
Gli indiani, infatti, ormai stanchi della dura battaglia, e con le munizioni ormai che scarseggiavano, preferirono ritirarsi.
Reno, Benteen e Martini e De Rudio (e gli altri) erano salvi. Avrebbero potuto raccontare quella drammatica ed incredibile giornata di guerra e di storia
Nei pressi di quel fiumiciattolo (Little big Horn) ora esiste un museo. La collinetta ove si rifugiò Custer (e i suoi uomini) e il boschetto di Reno e Benteen esistono ancora.
Non si odono più gli echi degli spari, della confusione, i nitriti dei cavalli, le urla e i lamenti, ma soltanto il sibilo del vento che ogni tanto rompe il silenzio di quei posti sperduti e lontani.
Sanvass
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