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CAPETINGI - I RE CHE GUARISCONO

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(Jea-Paul Laurens, La scomunica di Roberto II -museo d'Orsay)
 
Nell’estate del 987, a Senlis, una cittadina di Valois, un’assemblea di nobili feudatari scelse il nobile Ugo Capeto come nuovo re dei Franchi  per succedere a Luigi V morto improvvisamente a vent’anni. Fu l'inizio della dinastia Capetingia.
Nello stesso anno della sua elezione il monarca provvide a nominare il suo successore, associando al trono il figlio Roberto.
Roberto, detto il “pio” per la sua passione per la teologia e le sacre liturgie, dopo la morte del padre, nel 996, regnò da solo. Era un uomo molto colto, sostenitore delle riforme ecclesiastiche promosse dai monaci di Cluny, che pur tuttavia, patì anni di sanzioni papali a causa delle sue passioni per le donne e dei suoi matrimoni trasgressivi. Dopo aver ripudiato la prima moglie perché non poteva dargli figli, si innamorò della cugina di terzo grado, Berta di Borgogna, che sposò nonostante l’opposizione della chiesa. Il rapporto di parentela, anche se lontano era ritenuto incestuoso in base alle leggi ecclesiastiche dell’epoca.
Il papa Gregorio V comminò al monarca e a sua moglie sette anni di penitenza e, in un secondo momento anche la scomunica. Il re non si piegò e rimase insieme alla moglie disposto ad affrontarne le conseguenze, vivendo come esiliati, in quasi totale isolamento, costretti, in occasione dei loro viaggi, a sostare brevemente nei luoghi del loro arrivo, dove, durante i soggiorni, la vita della città si fermava, le campane tacevano e non si potevano celebrare matrimoni, battesimi o funerali.
Il perdurare della situazione indusse re Roberto ad arrendersi, separandosi da Berta e sposando Costanza di Arles, una donna collerica che divenne ben presto impopolare. Si rassegnò a quelle nozze infelici senza però rinunciare a intrattenersi con la donna che amava, giustificandosi, da cristiano devoto con l’arcivescovo di Tours, con queste parole: “ La chiesa, nella sua severità, ci obbliga a volte a vivere nel peccato”.
Roberto il Pio venne ricordato, più che per le sue qualità politiche, per le sue presunte facoltà soprannaturali e per lo spirito caritatevole.
Di lui si scrisse che la virtù divina gli aveva concesso la grazia di guarire i corpi toccando le piaghe dei malati con le sue mani e segnandoli con il segno della croce.
Nella dinastia dei Capetingi non fu l’unico a passare alla storia come guaritore. Ad altri suoi discendenti furono attribuite virtù taumaturgiche simili.
Con il nipote, Filippo I°, si specificò di quale malattia fosse in grado di curare, ovvero di quelle escrescenze, chiamate scrofole, che proliferavano sul collo e sul viso. una patologia abbastanza ripugnante, che sfigurava il volto ma che non era quasi mai mortale.
Venne definita “ il mal le roi”, proprio perché l’unica terapia efficace sembrava trovarsi nelle mani di alcuni monarchi. La sacralità del potere regale era così manifestata in modo tangibile, legittimando i sovrani quali beneficiari di un dono di origine divina.
La cronaca dell’abate Gilberto di Nogent (1053-1124), fornisce una testimonianza relativa al regno di Filippo I° e del figlio Luigi VI: “ Ho veduto con i miei occhi la gente accorrere, malati sofferenti di scrofole nel collo o in altre parti del corpo, per farsi toccare da lui.”
Altre testimonianze precisano che il sovrano, nel toccare le scrofole pronunciava le parole:
“ Il re ti tocca, dio ti guarisce”.
Quando le rivoluzioni politiche del XVIII secolo scossero dalle fondamenta la fede nel carattere soprannaturale della corona, si perse definitivamente ogni traccia del dono della guarigione, riservato ai sovrani capetingi.
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