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Messaggio  Mr Weiß

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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty lei diceva di sé: io ero intelligente ma lui era un genio_

Messaggio  Azzurra

-Poiché non scorgevo in tutta la terra alcun posto che mi convenisse
decisi allegramente che non mi sarei fermata in nessun posto.
Mi votai all'Inquietudine.-


(Simone de Beauvoir, compagna di Sartre


Nella loro vita di coppia 2 istituzioni inviolabili: l'individuo e il partito comunista.
Secondo i patti, la loro fu una coppia aperta con grande sofferenza e sottomissione, per scelta, da parte di lei.
Però, tradita nelle aspettative di amore sia dal partner che dalla sua stessa ideologia che la costringeva a reprimere ciò che di più vero si possa sentire, cadde in una forte depressione e nell'alcolismo.
Un amore malato per quell'uomo che fino all'ultimo (per me patologicamente) lei amò. Lui le scriveva: voi siete sempre me,l'essere stesso del mio essere,  il cuore del mio cuore.


Tormento, trasgressione, utopia e nausea ma non solo in loro e nell'Esistenzialismo...)


Ultima modifica di Azzurra il Ven 13 Dic 2013, 15:25 - modificato 1 volta. (Motivazione : problemi di invio)

Azzurra
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty Re: Autrici ed autori >

Messaggio  Azzurra

..e sulla scia di Sartre e dell'esistenzialismo, una donna che tanto mi ha affascinata:
Simone Signoret con il suo libro 
 "la nostalgia non é più quella di un tempo" con le pagine dedicate al suo amore per Yves Montand
nelle quali non svela la loro intimità ma piuttosto il loro e soprattutto il suo carattere di donna libera e inquieta
capace di vivere non al fianco e per un uomo ma per se stessa e per il proprio amore.
E poi ci parla del suo mondo di gente bizzarra, degli errori e delle conquiste di una generazione


Nessuna nostalgia alla fine ma piuttosto stupore nel rendersi conto che quello che conta é a portata di mano e dall'altra parte la difficoltà di saperlo cogliere in quell'attimo di vita.
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Azzurra
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty JEAN PAUL SARTRE

Messaggio  annali

Autrici ed autori >  - Pagina 5 Jean-Paul_Sartre

Sartre rappresenta una delle figure più notevoli e della cultura europea negli anni del secondo dopoguerra, in conseguenza della sua intensa attività filosofica, narrativa e teatrale.
Nato a Parigi (1905-1980), insegnante di filosofia, impegnato politicamente a sinistra, dopo aver partecipato alla Seconda Guerra Mondiale e alla Resistenza, il suo impegno civile e politico lo porta a lottare contro il razzismo, contro la politica francese in Algeria e contro la burocratizzazione sovietica. Nel 1964 rifiuta il Premio Nobel e da allora assume un atteggiamento di dura critica verso la sinistra storica francese.
La sua opera più importante, summa del suo pensiero è “La nausea” (1938), romanzo strutturato come il diario di un intellettuale che vive in una città di provincia, ma che in realtà è la trasposizione letteraria di una tesi filosofica.
Il protagonista, Roquentin, ”eroe negativo” si rende conto dell’assurdità di ciò che lo circonda, da qui la nausea che non è altro che la scoperta del nulla, ma anche ansia di superamento, di giustificazioni autentiche dell’esistere. L’esistenzialismo per Sartre tende alla valorizzazione dell’uomo al quale si deve attribuire ogni potere di autodeterminazione, anche se il dovere della scelta genera poi l’angoscia.
Insomma, l’uomo è condannato a essere libero.


Ultima modifica di annali il Lun 16 Mag 2022, 23:06 - modificato 1 volta. (Motivazione : Sostituita immagine...)
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty PERCY BYSSHE SHELLEY

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Fin dall’infanzia  Shelley, avversò ogni forma di tirannia, ribelle a ogni espressione d’autorità che trovasse fondamento sulle convenzioni e non sulla ragione. Nella lettura dei classici appresi a scuola, oltre che nella propria fantasia, trovò l’aspirazione necessaria per scrivere i suoi due primi romanzi, opere di poco valore che tuttavia lo resero cosciente delle personali ambizioni artistiche.
Frequentò anche l’University College di Oxford, dove scrisse l’opuscolo intitolato: “ La necessità dell’ateismo” che gli procurò l’immediata espulsione dall’università.
Rotti i rapporti con la famiglia, sposò Harriet Westbrook e prese a girovagare per l’Inghilterra e l’Irlanda, dove scrisse una serie di opuscoli in favore del popolo irlandese.
Lo spirito inquieto e ribelle ben presto lo spinsero ad allontanarsi dalla moglie e fuggire in Francia con Mary Goldwin, figlia del celebre scrittore che lo aveva ispirato in età giovanile.
 
Nel 1815 si stabilì a Windsor, dove scrisse la sua prima opera importante, che gli procurò un grosso successo.
A Ginevra, l’anno dopo, nel 1816, conobbe Byron eccelso poeta inglese, destinato a incidere profondamente sulla sua produzione letteraria. Nonostante i due fossero di caratteri opposti, erano sempre insieme, pur non comprendendosi affatto.

Esperienze assai tragiche entrarono nella vita di Shelley, prima fra tutte il suicidio di Harriet, la prima moglie, in seguito al quale gli fu tolta la custodia dei figli.
Angustiato dal rimorso, trovò grande sollievo nel suo viaggio in Italia, durante il quale soggiornò a Venezia e a Este ospite di Byron.
In Italia, (fu anche a Napoli), trovò ispirazione per i suoi lavori più espressivi, soprattutto “ I Cenci”, uno splendido dramma che gli valse vasta notorietà. Gli ultimi anni di vita furono caratterizzati da assidua e fervida operosità, che lo portò a scrivere poesie, drammi lirici e soprattutto quella che è definita la sua migliore opera in prosa: “ Difesa della Poesia”, in cui espose con linguaggio appassionato ed eloquente la sua teoria dell’arte.
 
La morte giunse inaspettata nel luglio 1822, quando Shelley aveva solo trent’anni. Appassionato di barca a vela, fu durante una tempesta al largo di La Spezia, città in cui si era trasferito quell’anno,  che la sua imbarcazione affondò.
Il suo corpo fu recuperato e bruciato sulla spiaggia. Le sue ceneri furono portate nel cimitero protestante di Roma, dove sono conservate.
Divenne famoso in Italia solo molti anni dopo la sua morte, nel 1844, con il rifacimento della sua opera “ I cenci”.


Ultima modifica di annali il Lun 16 Mag 2022, 23:09 - modificato 1 volta. (Motivazione : colore testo)
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty UMBERTO SABA POETA TRIESTINO

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Nacque a Trieste nel 1893 da madre ebrea, e giudeo si considerò sempre, tanto da sostituire il cognome paterno, Poli, con Saba, che in ebraico significa pane. I conflitti familiari influenzarono non poco la sua infanzia, finché il padre non abbandonò la famiglia. Fece un bel po’ di mestieri, compreso il mozzo su una nave mercantile, scrivendo nel frattempo, molto e bene.
La sua vena è facile e copiosa, qualità che gli fece ottenere l’interessamento di Solaria, la rivista fiorentina che gli dedica un “Omaggio a Saba”.
Per capire quanto importante fosse questo riconoscimento, bisogna tornare indietro nel tempo, dal 1926 al 1936 (tanto ebbe vita il celebre foglio letterario). In quel periodo Solaria raccolse il meglio della letteratura italiana e straniera, del tutto ignorata in Italia. Diffuse Proust e valorizzò il filone ebraico: Kafka, Joyce e fra i nostrani Svevo e Saba.
Questo uno dei motivi per cui Solaria dovette cessare le pubblicazioni. Agli occhi del partito di potere, solariano significava essere non europeista, ma soprattutto antifascista. L’ospitalità concessa ai poeti ebrei non poteva essere titolo di merito per il regime di allora.
Sull’Italia letteraria si scatena poi il vento della poesia ermetica e Saba, che ermetico non è viene messo in disparte. È un decadente e crepuscolare, ma soprattutto è ebreo.  Dopo una breve fuga a Parigi, torna in Italia, restando nascosto a Roma, nel periodo dell’occupazione nazista. Tornerà alla sua Trieste e aprirà una libreria antiquaria, che resterà sua sino alla fine.       
Fu un poeta autobiografico, leggere la sua vita come la descrive, è suggestivo e dolce, personaggio di una Italia dimessa e vera. Cantava la malinconia della vita pur amandola appieno, cogliendo ogni aspetto del quotidiano visto con gli occhi di gente della strada, una strada sconnessa ma che porta a casa.
Quasi un poeta fuori dal mondo, isolato, con un lessico chiaro, sempre in contatto con la realtà, quella umile dell’uomo semplice. Dentro le sue opere poetiche c’è la storia d’Italia a cavallo del diciannovesimo e ventesimo  secolo, vista da un protagonista, fanciullo infelice, soldato.
I suoi, furono i versi del giusto, detti nella maniera giusta “…e chi mi avrebbe detto la mia vita, così bella, con tanti dolci affanni, e tanta beatitudine romita!...”
Nonostante le mille amarezze sopportate, Umberto Saba, uomo e poeta, come tutti i semplici,nella vita ha, forse, sempre sperato.


Ultima modifica di annali il Lun 16 Mag 2022, 22:52 - modificato 1 volta. (Motivazione : colorato testo)
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty MAUD

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And once,but once,she lifted her eyes,
And suddenly,sweetly,strangely blush'd
To find they were met by my own..
Tennyson,Maud 1855
Rolling Eyes
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty quanto m'attizzano Tennyson,Blacke,Hardy e compagnia..

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Oh tigre..tigre che ardi..tigre che bruci...
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty WILLIAM BLAKE - POETA E VISIONARIO

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William Blake nasce a Londra nel 1757, stranamente l'anno fissato da Emanuel Swedenborg (filosofo e visionario), per l'avvento del nuovo regno di Dio sulla terra.
Le visioni sono state l'elemento caratterizzante di tutta la sua vita: a quattro anni pianse per aver visto Dio affacciarsi alla finestra della sua stanza; a otto anni affermò di aver visto il profeta Ezechiele sotto un albero, mentre alcuni angeli stavano posati sui rami.
Le visioni si fecero eventi abituali nella vita di tutti i giorni: affermò di aver assistito al funerale di una fata, portata sopra una foglia da una processione di piccoli esserini che la sotterrarono e poi svanirono.
Dal 1818, nell'ultimo periodo della sua vita, le visioni poteva suscitarle a sua volontà, tanto che un amico di quel tempo, pittore e astrologo,John Varley, se ne fece fare alcuni disegni.
Di quei disegni, memorabili sono il ritratto del "Costruttore delle Piramidi" e quello del "Fantasma di una Pulce", un mostruoso essere a metà uomo e metà bestia, con in mano una coppa di sangue che si apprestava a bere.
Si suppose, all'epoca, che Blake soffrisse di allucinazioni, ma, come teneva a spiegare lui stesso, le sue erano frutto d’immaginazione, facoltà comune a chiunque si sforzasse di esercitarla.
Era solito ripetere che un fantasma è cosa vista da un occhio "corporale", ma una visione è vista dall'occhio della "mente".
Le prime poesie comincia a scriverle all'età di dodici anni. Le sue prime letture sono Shakespeare, Milton, Dante, la Bibbia.
A vent'anni si iscrive alla Royal Accademy. In quegli anni sviluppa la propria tecnica: incisione, acquarello e tempera su tela, che egli chiama "a fresco". Sostenne che fu il fratello, apparsogli in sogno dopo la morte, a spiegargliene la tecnica e a mostrargli il procedimento. Dopo di ché si mise a studiare il modo di incidere a sbalzo, poesia e disegno, sullo stesso foglio: i versi erano scritti e i disegni, che decoravano i margini del foglio, tracciati con un liquido inattaccabile dagli acidi su una lastra di rame.
Incisione dopo incisione, poesia dopo poesia, ridusse pensiero, sostanza della realtà e storia, in splendide visioni.
Blake presupponeva una rete di corrispondenza che legavano il microcosmo al macrocosmo. 
I simboli di Blake diventano più profondi quando scrive "Matrimonio del cielo e dell’inferno”, un’opera di eloquenza biblica, per poi continuare con esiti più criptici soprattutto nei grandi libri profetici: “I quattro Zoa” Milton” e Jerusalem”.
 
Il suo alto livello di sintesi rimanda alle fonti di tutte le scritture sacre, al tempo dell’immaginazione mitica, ai misteri oltre le porte della percezione. Il peso di ogni singola parola porta l’impronta di un eterno fluire.
Questo e molto altro è William Blake, poeta visionario.


Ultima modifica di annali il Lun 16 Mag 2022, 22:41 - modificato 2 volte. (Motivazione : colore testo)
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Autrici ed autori >  - Pagina 5 Empty RICORDO DI MARIO RIGONI STERN

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“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile  mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello, il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli starnuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che stavano sopra la testa di giorno. E quando ci ripenso, provo il terrore di quelle mattine di gennaio, quando la katiuscia, per la prima volta, ci scaraventò le sue settantadue bombarde.
Il nostro caposaldo era un villaggio di pescatori in riva al Don, nel paese dei cosacchi. Le postazioni e le trincee erano scavate nella scarpata che precipitava nel fiume gelato.
Al di là di un lido a destra, il caposaldo del Morbegno, al di là dell’altro  quello del tenente Cenci. Tra noi e Cenci in una casa diroccata, la squadra del sergente Garrone con una mitragliatrice pesante. Di fronte a noi, a meno di cinquanta metri, sull’altra riva del fiume, il caposaldo dei russ

Viene il 26 gennaio 1943, questo il giorno di cui si è tanto parlato.
È l’aurora. Il sole che sta sorgendo dal basso orizzonte ci manda i suoi raggi. Il biancore della neve e il sole ci abbagliano gli occhi. Abbiamo con noi dei panzer tedeschi.
Una slitta corre in lontananza, da un carro tedesco partono alcuni colpi e la slitta salta in aria.
Ci fermiamo più avanti ad aspettare il grosso della compagnia. Affacciandoci a una dorsale vediamo giù un grosso villaggio che sembra una città: Nikolajewka. Ci dicono che al di là c’è la ferrovia con il treno pronto per noi. Nel cielo appaiono quattro aeroplani che si abbassano a mitragliare i nostri compagni. Vediamo le fiammelle che escono da tutte le armi di bordo e la colonna che si sbanda e si sparpaglia. Gli aeroplani risalgono e poi ritornano ancora a mitragliare e vanno in giù, verso la colonna che come una linea nera si perde nella steppa.

La nostra artiglieria non spara più da un pezzo. Avevano pochi colpi, li avranno sparati tutti.
Ma perché non scende il grosso della colonna? Da soli non possiamo andare avanti. Potrebbero scendere indisturbati ora che i russi stanno ripiegando. Invece c’è uno strano silenzio. Non sappiamo più niente nemmeno degli altri plotoni venuti all’attacco con noi. Non abbiamo ordini. Se avessimo almeno munizioni! Ma sento che ho fame e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato, una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d’occhio. Corro e busso alla porta di un’isba. Entro. Vi sono dei soldati russi, là. Prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. - Mniè khocetsia iestj - (ho bisogno di mangiare) dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto e lo riempie di latte e miglio con un mestolo dalla zuppiera di tutti e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata. – Spaziba – (grazie) dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto.I soldati russi mi guardano senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra è venuta con me per aprirmi la porta. A gesti le chiedo di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà un favo ed io esco. 
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarci, ma naturale, quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata fra me e i soldati russi e le donne e i bambini, un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. Se questo è successo una volta, potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di viver

Questo è stato il 26 gennaio 1943. I miei amici più cari mi hanno lasciato quel giorno”.


 
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