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La grande storia del rock...

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L’ho trascurata mica male, questa mia presunta grande storia del rock. Magari ora c’aggiungo qualche personaggio per movimentarla un po’…
 
 Non ho che l’imbarazzo della scelta, ma per non far torto a nessuno, pesco tra la mia collezione di dischi e chi mi ritrovo tra le mani….chi c’è, c’è!
 
Ah, bè, David Bowie! Mi piaceva la sua figura camaleontica mentre attraversava le scene del rock mondiale in maniera imprevedibile. Era già alla ribalta nell’era del beat-psichedelica inglese, dotato di una propensione incredibile per i travestimenti, recite e dichiarazioni a “sensazione”. David Bowie ha introdotto nell’estetica del rock una figura mutagena, ma aldilà dei cliché esterni s’è dimostrato un grande musicista e un altrettanto stilista dei generi: ne ha attraversati molti e qualcuno li ha pure inventati.
Le sue canzoni una serie di pastiglie multicolori e fantascientifiche come Space Oddity, Ziggy Stardus, Starman, e tutte la altre. Bella l'interpretazione nel film L'uomo che cadde sulla Terra di Nicholas Roeg. 
 
 
 
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SYMPATY FOR THE DEVIL 
La canzone suonata dai Rolling Stones nel 1969 scatenò a New York un putiferio.
Era l’anno del raduno di Woodstock, organizzato in nome delle cause più diverse, anche se la principale era l’opposizione alla guerra del Vietnam.
Una massa di mezzo milione di hippy, yuppy, studenti e professori sembrò annunciare una rivoluzione nella società e nella cultura americana. Fu comunque l’evento più significativo degli anni sessanta, uno dei punti di riferimento dell’epoca, la sua apoteosi.
La California per mantenersi pari passi con i movimenti di protesta decise di organizzare un festival musicale altrettanto grandioso in una pista automobilistica abbandonata alla periferia di San Francisco, la Altamont Speedwey.
L’attrazione principale fu il gruppo dei Rolling Stones, che avevano appena concluso il tour negli Stati Uniti.
Stando alle voci più o meno fondate che circolavano prima del raduno, sembra che gli Stones avessero l’intenzione di appianare i contrasti tra gli hippy e gli yuppy con gli Hell’s Angels, i quali si presentavano come fanatici nazionalisti,  usando la musica come forma di terapia magica. Esorcizzare così la carica negativa che pervadeva la California e aprire la strada all’armonia sociale.
L’aspettativa che Altamont  rappresentasse un evento pari a quello Woodstock, mobilitò parecchi cineasti e l’arrivo di ben trecentomila spettatori.
Le violenze scattano fin dall’inizio del concerto, durante le esibizioni di alcuni gruppi locali, i Jefferson Aireplane e i Grateful Dead.
I Rollins Stones si dimostrarono restii a capire quanto fosse cambiata l’atmosfera che si respirava e quale fosse l’effetto che la loro immagine produceva, definiti com’erano, dai media, una “sinistra congrega di stregoni”.
Si presentarono sul palco verso mezzanotte con la situazione infuocata, invocando la calma ma, con una scelta della canzone poco appropriata. Infatti, il gruppo inizia a suonare “Simpaty for the devil”, facendo riesplodere gli scontri sotto il palco.
Avviene una rissa generale e gli Angels caricano gli spettatori con stecche da bigliardo.
Jagger appare stravolto, guarda il pubblico con espressione d’impotenza, ha perso il controllo della situazione, mentre gli altri gruppi erano evacuati con gli elicotteri, come in un’operazione militare.
C’erano stati tre morti ma senza rendersene conto, gli Stones continuarono a suonare, apprendendo solo molto più tardi di quanto accaduto.  
In seguito le polemiche infuriarono e il gruppo fu pesantemente coinvolto.
Si trattava dell’America del 1969 ma c’era qualcosa di più…. come scrisse il Newsweek: “ Dopo quel sanguinoso tour la musica degli Stones divenne una forza mitica, estatica, onnipotente, un esorcismo erotico per un decennio funesto.”

I Rolling Stones suonavano Sympaty for the Devil operando un vero rito sciamantico, in cui il mago perde il controllo delle forze che ha evocato. 
 
 
 
 
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Arriva il LIVE.
James Brown fu il primo che ci provò, con “ Live At The Apollo”, entrato subito in classifica e restandoci tanto a lungo mentre l’industria discografica prendeva nota generando un  prolificare di live.
 
Situazione pressoché inedita in ambito pop mentre nella musica classica e nel jazz, l’album in concerto non era una novità.
All’inizio, la preparazione tecnica e i limiti degli impianti di registrazione esigevano abbondanti ritocchi a posteriori, anche aggiungendo applausi posticci a incisioni in studio...
Fu con il fiorire della psichedelica e con il miglioramento delle apparecchiature e della preparazione di chi le maneggiava che la situazione cambiò radicalmente. Le esibizioni dal vivo divennero un test sul quale misurare il valore del gruppo, quando non luogo di sperimentazioni sempre più ardite...
 
Se i Beatles rinunciarono ai tour, fra le molte ragioni, quelle legate all’impossibilità di riprodurre le creazioni sempre più complesse ideate fra le mura degli studios, vi fu chi invece, scelse di inaugurare, registrando  in concerto i loro 33 giri colmandoli di materiali altrimenti inediti.  L’album dal vivo si fa spesso autocelebrazione, sfilata di cavalli di battaglia, suggello di un periodo quando non l’approdo di una carriera...

Il successo del live, parte dal ’70 e arriva fino alla fine ’80, poi basta. Non  che non escano più dischi dal vivo, è chiaro, ma non pesano più né artisticamente né commercialmente...

L’ultimo cambio di prospettiva è determinato dall’avvento del cd nel 1983 e dal gran lavoro di riordino ed esplorazione degli archivi il lavoro diventa frenetico. L’industria discografica (più le piccole etichette specializzate che le multinazionali) è su questo mercato ristretto ma abbiente che punta riesumando l’impossibile...


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La grande storia del rock... - Pagina 3 Empty NIRVANA- NEVERMIND

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1991: tre lustri dopo il precedente spartiacque, tracciando una linea di demarcazione tra il prima e il dopo, quando si parlava della morte del rock, arriva in vetta alle classiche un giovane con tutti i cromosomi al posto giusto per raggiungere la vetta delle classifiche americane.


 È Kurt Cobain, un ventiquattrenne che alla testa dei Nirvana con “Nevermind”, (appunto, come già citato) lancia un urlo alienante, un irresistibile abbraccio di punk e hard, con affioranti melodie pop.


Vigoroso, sanguigno ed essenziale, esprime urgenza di comunicazione magari confusa e contorta, ma sincera, indiscutibilmente.
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La grande storia del rock... - Pagina 3 Empty LA GRANDE STORIA DEL ROCK 5

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Gli anni ’80 sono finiti e si entra nei caotici ’90, durante i quali sembra di assistere all’estrema frammentazione dell’universo rock, privato della sua centralità, con il suo non essere più unico veicolo di comunicazione giovanile, in verità seguendo un processo già iniziato nel decennio precedente. In parte dovuto, è giusto precisarlo, alla non più tanto verde età dei suoi protagonisti e loro pubblico.
Niente timori, nessuna paura, nulla è perduto, ancora una volta il rock novella fenice, dalle sue ceneri risorge. Arrivano i Nirvana nel settembre 1991 a colpire al cuore, l’immaginario adolescenziale, aggiungendo seduzioni squisitamente pop all’incontro fra punk e hard moderno.
Dunque il rock non era morto, ma era ancora rock?

Spentosi l’eco del grunge, le logiche evolutive di un rock partito ibrido, ha sempre trovato in altre contaminazioni lo stimolo a non fermarsi.
Una volta di più è stato dimostrato che volgersi creativamente al passato può essere il modo migliore d’inventarsi il futuro. Il rock lo fa da sempre e anche guardarsi indietro, può essere positivo se la scrittura è all’altezza del classicismo cui aspira. Quanti ne hanno camminato nella scia, basta far qualche nome per averne conferma. Ripartendo dagli ’80 ricordiamo R.E.M, Neil Young, Metallica, Bruce Springsteen, Lou Reed….
 
Bisognerebbe scrivere libri interi al riguardo, ma il tempo latita e arrivano gli anni ’90, dei quali all’inizio si stava raccontando.  Formidabili indubbiamente perché non ci hanno certamente  dato modo di annoiarci.
 
Mi prendo il tempo per decidere cosa scrivere, conservare, di quegli anni, o cosa buttare, che poi buttare sarebbe impossibile. Tutto rimane scritto nella memoria e le voci, quelle che hanno entusiasmato non si spengono e non si scordano a comando: sono lì a ricordarci che c’eravamo pure noi….con loro.  


Ultima modifica di annali il Lun 01 Gen 2018, 23:42 - modificato 1 volta. (Motivazione : Colore testo)
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I Talking Head sintetizzano e i Clash catalogano e assorbono. Da posizioni antitetiche gli uni e gli altri anticipano lo spirito guida degli anni ’80 e ancor di più dei ’90. Due decenni leggibili da un certo punto di vista come un unicum.
 
Schiacciati, per restare in ambito strettamente rock, gli anni ’80 hanno patito, fra la nuova onda da un lato e il grunge dall’altro, una perdurante sottovalutazione, mentre meritano esegesi attente: per la capacità di rileggere le radici del rock con la sensibilità del post- ’77.

Gli anni ’80 negli States sono forse soprattutto gli anni in cui l’hip hop da fenomeno solamente newyorkese che era conquista il paese e il mondo il giorno dopo.
 
E la gran Bretagna? Non sta a guardare ma paga l’eccesso di orgoglio indotto dall’aver messo a soqquadro il rock con i Sex Pistols.
 
In scena entra il pop più rumoroso che si sia mai sentito ma le cose migliori accadono a fine decennio, quando si trovano innovazioni che dipingono di nero l’indie-rock.
 
Poi naturalmente gli ’80 sono gli anni degli U2, di Prince, di Madonna, di Bruce Springsteen di Born In The USA che riempie gli stadi ovunque. Altre storie, altre pagine da riempire..........
 
Anni  '80 della caduta del Muro di Berlino.


Ultima modifica di annali il Lun 01 Gen 2018, 23:44 - modificato 1 volta. (Motivazione : Colore testo)
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Con Marley per la prima volta il rock subisce l’infiltrazione diretta da parte di una musica non uscita dai soliti santuari angloamericani. Certo era una variante di soul e rhythm’n’blues: il mondo è una sfera, la storia un cerchio.
Gli anni ’70 cominciano a movimentarsi, è scoppiato il punk, anche se è vero che ad accorgersene è solo la stampa underground.
 
In realtà il punk non dice nulla di nuovo, inserendosi in una tradizione che da Eddie Crochran porta ai Sex Pistol prendendo lo spunto da The Who, innovativo è semmai l’atteggiamento, il tornare a farsi voce generazionale, il riprendersi il rock’n’roll sottraendolo alla presunzione del progressive.
 
Il punk è comunque tutt’altro che privo di padri, risultando da subito lampanti le sue contiguità con certo hard e con il “glam”. Il dopo sarà da un lato lo svelto insterilirsi in stile rigido e codificato, dall’altro l’evoluzione in New wave, fioritura di talenti come il rock non ne conosceva da dieci anni e non ne conoscerà forse più.
 
Gli anni ’60 iniziati con l’arrivo di Elvis Presley e la beatlemania sono sepolti, con Jim Morrison nel luglio 1971.
 
Gli anni ’80 hanno una gran fretta di irrompere alla ribalta, ancora propulsi di energia settantasettina, arrivando con tre mesi di anticipo, con un gruppo newyorchese di nome Talking Heads. Trafficando con il funk, dichiarano inevitabilmente la fine della centralità del rock, mettendolo sullo stesso livello di altre musiche popolari e facendolo evadere da quel vasto perimetro degli stili che l’hanno formato.


Ultima modifica di annali il Lun 01 Gen 2018, 23:46 - modificato 1 volta. (Motivazione : Colore testo)
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Gli anni ’60 furono la colonna sonora suonata da una moltitudine di artisti, anni favolosi, anche se, non tutti portavano fiori nei capelli, neri, bianchi e latini uomini e donne a coniugare una musica non meno meticcia fra funk e psichedelia.
 
Mitici anni, certo, ma pure drammatici, con molte vittime al cambio del decennio, con Jim Morrison, Janis Joplin e Jimi Hendrix non più in questo mondo.
 
Nella sua celebre biografia, Jim Morrison scrisse “ Nessuno esce vivo da qui”. Quando fu ufficializzato lo scioglimento dei Beatles il 10 aprile 1970, divenne chiaro in modo lampante che gli anni ’60 erano finiti e per il rock anni ’70 inizino in una terra di nessuno mancando un disco a fare da spartiacque come era successo ai ’60 rispetto ai ’50.
 
Degli anni ’70, necessario aprire un nuovo capitolo, per far posto a esordi di tutto rispetto, da Patty Smith, ai Ramones ai Talking Heads e molti altri che si apprestano a stupire all’ombra della Grande Mela. 
 
Da ricordare fugacemente la colonna sonora di “Saturday Nigth Fever” che nel 1977 con il suo fatturato avrebbe coperto i bisogni di buona parte del Terzo Mondo, e la comparsa di un piccolo grande uomo chiamato Bob Marley.    

                       


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*** The WHO ***
 
 
Per chi abbia vissuto gli anni ‘60, non può fare a meno di evocare un susseguirsi d’immagini alternativamente composte di esaltazioni e trionfi, ma anche drammatici avvenimenti.
 
 
Vi furono i Beatles accolti a New York da folle di ragazzine urlanti, e la fine di John F. Kennedy; Bob Dylan a passeggio per il Village e Martin Luther King con il suo sogno. Jim Hendrix che versa benzina e dà fuoco alla chitarra, studenti che offrono fiori ai poliziotti e il raduno di Woodstock. Il sogno dell’uomo che sbarca sulla Luna, Kruscev che all’ONU si leva una scarpa e la sbatte sul tavolo. Marilyn che ci viene portata via e non si sa ancora cosa fu; John Lennon e Yoko Ono e gli Who che fanno a pezzi gli strumenti alla fine delle esibizioni.
 
Tante facce di rivoluzionari, James Brown, Che Guevara, Richard Nixon e il Vietnam che brucia.
 
Chi c’era in quegli anni, magari vorrebbe esserci ancora, quando il mondo era giovane e almeno un po’, innocente.
 
Dopo tanti anni i ’60 rifiutano di andarsene, restano fermi nella memoria, convitati di pietra che hanno osservato i decenni seguenti vivere e morire.
 
Musicalmente crearono un corto circuito infinito: Dylan ha influenzato i Beatles e loro influenzano lui, inducendolo alla chitarra elettrica. I Birds trapiantano i Beatles nel folk americano; i Rolling Stones rileggono Muddy Waters, Otis Redding rilegge i Rollins Stones.
 
Si scavalcano gli steccati razziali esplode la rivoluzione sessuale e si disegnano gli orizzonti mentali di una generazione.
 
Per il momento mi fermo qui…...


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Quando, con chi, quale band o cantante è nato il rock? Facile sarebbe farne risalire la data al 5 luglio 1954, il giorno in cui Elvis Presley registrò la canzone “ That’s All Right Mama”. Il suono ruvido della sua chitarra, il ritmo swingante, la voce singultante, parve a chi lo ascoltava qualcosa di magico e inaudito. Mai nessun bianco aveva suonato così.
 
That’s All Right Mama l’aveva scritta un bluesman nero, Arthur “Big Boy” Crudup, otto anni prima: dunque, il rock’n’roll avrebbe visto la luce nel 1946?  O ancora più indietro nel tempo, oltre la New Orleans, culla del jazz e capitale dell’America meticcia, fino all’Africa depredata dalle navi schiaviste?
 
Nel mercato discografico statunitense del secondo dopo guerra la musica nera era sempre meno confinata nella comunità d’origine, anche se le barriere razziali erano ancora alte.
 
Chi profetizzò che il giorno si fosse trovato un bianco, capace di cantare come un nero, avrebbe innescato una rivoluzione ebbe la giusta intuizione.
 
Negazione assoluta del razzismo con il suo essere creatura splendidamente ibrida, il rock’n’roll nasceva con caratteristiche predatorie della cultura afroamericana.
 
La musica a lungo considerata la più giovane per eccellenza, è la più vecchia che il mondo abbia conosciuto.


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